Assistenza Infermieristica nella Violenza
Racconto di come i colleghi hanno operato nei giorni del G8, nonostante tutto

di Stefano Agnese

 

Genova, venerdì  20 luglio 2001

Corso Torino  h. 12.37

L’orario è preciso perché rimasto fissato su un orologio che non funzionerà più, spaccato al primo colpo, testimone della prima carica.

Piazza Paolo Da Novi, arriviamo alle 11.00 circa. Ultimo briefing accanto al  nostro furgone/ambulanza, ultime disposizioni, ultime raccomandazioni. Ci dividiamo in gruppi. Fra noi tanto, tanto entusiasmo, un po’ di tensione, quella giusta, quella positiva. Prendiamo posizione e subito verifichiamo se alla fontana della piazza c’è acqua, - …sai, SE dovessero tirare i lacrimogeni…-, ingenui.

Li notiamo, prima a piccoli gruppi, poi sempre più numerosi, spaccano l’asfalto, divelgono le basse recinzioni delle aiuole, i segnali stradali, lavorano in silenzio, metodici. Ci guardiamo, la tensione cresce.
Ci rassicuriamo l’uno con l’altro, siamo medici ed infermieri, siamo li per occuparci di eventuali feriti, e poi lo sanno tutti “non sparare sulla croce rossa” e noi tutti la portiamo addosso, anche se disegnata col pennarello.

Facciamo due passi, si scarica la tensione, si fanno due parole, si incontra qualcuno. Poi il corteo si muove, in coda il gruppo vestito di nero, ci muoviamo anche noi.

Corso Torino h.13.00 o poco più.

La tensione cresce, il gruppo vestito di nero e col volto coperto comincia le devastazioni.

Poco più dietro, all’incrocio con Corso Buenos Aires, si schiera un nutritissimo plotone di Celere. Sono circa 50 i metri che dividono le forze dell’ordine da quel centinaio di teppisti che stanno distruggendo ogni cosa. Ci attendiamo la carica da un momento all’altro.

Il corteo si è allontanato, la devastazione continua, ci guardiamo, perché non caricano?

Poi in un attimo i teppisti si dileguano, velocemente, fantasmi neri.

Nello stesso istante i primi lacrimogeni, uno, due, tanti. Mettiamo maschera ed occhiali e guardiamo verso la Celere, si muovono, lentamente, battendo i manganelli sugli scudi.

Li guardiamo senza capire.

Poi cominciano a correre e quando capiamo è già troppo tardi.

Corso Torino h. 13.37

La furia, la cattiveria, animali, urlano, urliamo.

Quando finiscono sono stupito di essere ancora intero. Michele è senza occhiali e  continua a urlare – ….Sono un medico! Perché? Perché?…. – E’ una maschera di sangue, lo faccio sedere e cerco di tamponargli una ferita lacero contusa all’arcata sopraccigliare destra. Intorno a noi fotografi e cineoperatori fanno il loro lavoro, e domandano, sono increduli quanto noi. Squilla il cellulare, anche Lorenzo (si tratta di Lorenzo Marvelli, ndr) è ferito, su di lui si sono accaniti, è in Corso Brigate Partigiane.


Lorenzo Marvelli, da sempre accanto agli Infermieri Eretici, durante una performance teatrale di Morte di un musicista blues

Quando arriviamo Lorenzo è steso per terra, nell’aiuola. Ha una ferita profonda e lunga almeno 12/13 cm alla nuca, un’altra nella parte superiore del naso, un’altra ancora alle labbra che arriva fino al mento, è dolente in tutto il corpo, coperto di inconfondibili segni color porpora, è pallido, spaventato, ci chiede di non lasciarlo da solo. Lorenzo è un infermiere appena arrivato da Pescara, è uno che ha lavorato in Somalia, a Johar, dove faceva caldo, eppure è dovuto venire a Genova per avere paura.

Steso per terra anche uno della stampa, un inglese, o un greco che parla inglese, anche lui con una ferita lacero contusa alla testa.

Dieci metri dietro, schierati, Carabinieri in tenuta anti-sommossa ci osservano. Non tutti, ma alcuni sorridono, ma voglio sperare che sia la mia rabbia a confondermi.

Siamo in tre a prodigarci. Il triage indica per Lorenzo l’intervento del 118, la ferita dietro la nuca è troppo estesa, troppo profonda, e poi ha perso troppo sangue. Michele decide autonomamente di seguire Lorenzo ed entrambi sono accompagnati dal fratello di Michele. Sono i primi due  feriti di questa follia chiamata G8. Chiamiamo subito gli avvocati, uno di loro li aspetterà al Pronto Soccorso.

Interveniamo sul giornalista. E’ abbastanza tranquillo, collabora, ma ancora non si capacita di quel che ha visto e subito. E continua a domandare – Why?-. Non è nulla di particolarmente grave, acqua ossigenata, una bella pulizia con tricotomi, ancora acqua ossigenata, tamponi, asciugatura della zona ed applicazione di steri-strip. Una medicazione a cornice ed il tutto fasciato da una bella benda che gli fa il giro della testa. Il giornalista si alza, ci ringrazia, sorride e si allontana un po’ curvo.

Ha già l’aspetto di un reduce, e sono solo le 14.00.

Raccogliamo le nostre cose e le rimettiamo negli zaini e decidiamo di muoverci.

Raccolgo dall’aiuola le garze intrise di sangue, mi dirigo verso i carabinieri schierati e gliele getto ai piedi urlandogli che è roba loro. E’ un gesto stupido ed incauto, ma mi fa stare meglio.

Ci chiamano dal furgone col cellulare - …venite subito, qui è un casino! –

Comincia anche a farmi male il braccio che mi ha riparato il viso. Allunghiamo il passo per unirci agli altri.

La giornata è appena incominciata e già abbiamo imparato che  “non sparare sulla croce rossa”  oggi non vale.

 

Genova, sabato 21 luglio 2001

Corso Italia  h. 16.00

Lacrimogeni, una pioggia di lacrimogeni.

Corro indietro, da dove sono venuto, insieme a migliaia di altri esseri umani che come me non capiscono, che, come me, avvertono il tentativo di fare perdere dignità alle persone.

Noto una ragazzina sull’aiuola alla mia destra, è circondata da amici ma si vede che ha la faccia insanguinata. Mi guardo indietro. La carica è finita, anzi, temporaneamente sospesa. Mi fermo e mi avvicino. Avete bisogno? Subito mi aggrediscono, verbalmente – niente pronto soccorso, lei in galera non ci va, fanculo, ce la caviamo……ecc. – Poi capisce, e lascia che io dia una occhiata.

Setto nasale rotto, più probabilmente sbriciolato, una ferita lacero contusa nella parte inferiore del naso, un grosso ematoma sulla fronte e contusioni multiple in tutto il corpo.

Per quello che forse era prima un bel nasino, di questa ragazzina che avrà 18 anni si e no, c’è poco da fare. Gli somministro un antidolorifico sub-linguale, pulisco e medico la ferita. Acqua ossigenata, steri-strip, garza e cerotto.

E’ durante le operazioni di medicazione che accade.

Squilla il suo cellulare. - …cazzo è mia madre! – credevo che scherzasse ed invece, con una voce che solo un naso rotto può dare….- ciao mamma, si tutto bene, no no tranquilla, sono lontana dagli scontri, non preoccuparti…..eh? la voce? Solo un po’ di raffreddore, sai dormire in tenda….ok ok , stai tranquilla, ciao, ciao….-  e spegne il cellulare sporco del suo stesso sangue.

Gli amici che ridono, io la guardo allibito, mi sorride, solo un istante perché sorridere le procura dolore. Riesce a far sorridere anche me. Solo un attimo perché l’elicottero si è abbassato di nuovo e ricominciano a sparare lacrimogeni, ad altezza d’uomo, naturalmente.

E non c’è più nulla da ridere.

 

Genova, venerdì 20 luglio 2001

Via Montevideo   h. 18.20

Il ragazzo è già morto, la sua vita è già stata interrotta, a 23 anni.  

Noi ancora non ne abbiamo la certezza, siamo nella scuola DIAZ, nella palestra, anzi, nell’ospedale.

Le notizie giungono frammentate, discordanti, le voci si rincorrono, ci guardiamo smarriti, una sensazione di malessere, di pesantezza, di irrealtà che pervade tutti i presenti, i feriti e noi che li assistiamo.

Poi la conferma. In zona Piazza Tommaseo si è compiuta una tragedia, un misfatto, un ragazzo è stato ucciso dalle forze dell’ordine.

Nella stessa zona, ci viene comunicato, continuano cariche e pestaggi, dobbiamo recarci sul posto, dobbiamo fare quanto possiamo ed anche un pizzico di più. E’ dal mattino presto che “siamo in pista”, ma nessuno si tira indietro.

Fermiamo il furgone in Via Trento, oltre non è possibile andare. Decidiamo subito di muoverci a piccoli gruppetti e ci muoviamo verso la zona degli scontri.

In Via Montevideo ci raggiunge un ragazzo che dice concitato che c’è bisogno di noi, che c’è uno da soccorrere. Lo seguiamo, ci porta all’interno di un negozio, con la saracinesca mezza aperta. All’interno c’è la padrona, una ragazza gentilissima, impaurita, incazzata, consapevole di quel che sta succedendo e che Lei sta facendo la cosa giusta.

Il ragazzo ferito è seduto su una seggiola nel retrobottega, si spaventa appena ci vede.

E’ sotto shock.
Ci vuole tempo a spiegargli che il nostro è un servizio alternativo, che se le sue condizioni lo permetteranno non andrà in Pronto Soccorso (..e quindi in galera). Ha ferite lacero contuse sul volto, un ematoma grosso come un limone sulla tempia destra, contusioni su tutto il corpo, un braccio che fatica a muovere e probabilmente un dito della mano rotto. Il suo nome è Francesco.
Ogni tanto gli occhi gli si fanno impauriti, si guarda ripetutamente intorno, comincia a piangere agitato e ripete - ….è morto, è morto, non respirava più, l’ho visto, aveva tutta la faccia piena di sangue, ditemi che non è vero…Dio Dio…..-

Quando è più lucido racconta di aver visto la scena, di essere rimasto paralizzato, di essersi avvicinato a quel corpo immobile sull’asfalto, poi di nuovo la violenza, la furia, accanita su di lui, sul suo corpo. Racconta di aver perso i sensi e di essersi svegliato li dentro, al sicuro.

Gli consigliamo un blando sedativo, del diazepam, che rifiuta, ha paura di addormentarsi e di non svegliarsi più. Accetta soltanto un antidolorifico sub-linguale.

Piano piano si calma e possiamo cominciare a valutare l’intervento di cui ha bisogno. Bisogna suturare. Su un tavolino riusciamo a preparare un piccolo campo sterile: telino, ferri, filo, siringhe, guanti sterili e quant’altro occorre per la sutura. L’unico problema è che abbiamo finito il filo 2.0 e con un filo più grosso i segni della cicatrice saranno maggiori, dice che non fa nulla, ma per Francesco non saranno quelle in volto le cicatrici più vistose. Pratichiamo un po’ di anestesia locale, con la siringa direttamente nella ferita sanguinante e cominciamo. Alla fine saranno 8 i punti all’arcata sopraccigliare sinistra e 4 quelli alla destra.

Ogni tanto ricade in uno stato di confusione e paura, forse sopraffatto dalle immagini nella sua memoria, ed i suoi discorsi si fanno nuovamente confusi e scoordinati. Chiede notizie del ragazzo, teme che possano trovarlo e pestarlo ancora, piange, cerca di rimuovere l’accaduto dalla sua psiche, cerca di negarlo.

Nel frattempo arrivano gli avvocati che avevamo avvertito in precedenza, e Lui ha ancora un momento di paura, ha paura della gente, delle facce nuove, terribile!

Francesco non è ancora pronto a conoscere la verità che già conosce ma ancora rifiuta. Con gli avvocati c’è solo un veloce scambio di numeri telefonici, a più tardi.

Tentiamo di convincerlo a seguirci nel nostro fantastico ospedale, almeno a riposarsi un po’.

Alla fine decide di seguirci, si fida.

Lo rivedo circa tre ore dopo.

E’ seduto su un lettino, abbracciato ad una amica, gli occhi lucidi.

Ora è pienamente consapevole del dramma che ha vissuto, di cui è stato testimone, le cui cicatrici porterà per sempre. 

 

La foto di Lorenzo Marvelli è tratta da MAYATEATRO
Le foto dell'assassinio di Carlo Giuliani sono dell'Agenzia Reuter 
Le altre foto sono tratte da INDYMEDIA

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 Pagina Pubblicata il 01/09/01