B I A N C O P O L I...
di Mariano DeMattia
Sembrava un giorno come tanti altri, il sole si era appena
levato per scandire il dono di un nuovo giorno, prati, monti, mari, persone,
automobili, casa, strade, semafori e tutto ciò che riempie il mondo intero era
ancora una volta presente e pronto per funzionare.
Alla fermata
dell'autobus c'era il solito gruppo di persone nell'attesa del mezzo che le
avrebbe trasportate nel consueto luogo di lavoro, ma quella mattina l'attesa
appariva molto più lunga del solito. In effetti, era circa un ora che in
entrambe le direzioni di marcia non circola alcun mezzo di trasporto, quando
d'improvviso si apprese la notizia che la circolazione era bloccata da una
manifestazione popolare, tutta la gente di quel posto si era raccolta nel punto
nevralgico della città, il punto centrale, lo snodo principale. Il motivo per
cui essi si erano li riuniti era niente poco di meno che…la voglia di ribellarsi
con tutte le loro forze ed armi, una volta e per sempre, alla massiccia e
progressiva presenza di gente troppo diversa tra loro; diversa per ideologia
politica, religione, integrità morale, onestà, ambizioni e sogni, colore della
pelle, dei capelli degli occhi, dei vestiti, delle scarpe ed ancora diversa per
età, sesso, altezza, peso, lunghezza dei capelli e delle unghie (dei piedi e
delle mani), diversa per lingua parlata, per i gradi della vista, per il tipo
d'automobile, casa (in montagna, in città ed al mare) bicicletta, motorino,
occhiali, orologi, telefonini, fax, computer, televisori, radio, cappelli,
sciarpe e guanti che possedevano.
I cori di protesta, gli striscioni e le
bandiere sembravano essere l'espressione univoca di un unico e corale disagio;
l'estrema diversità che caratterizzava la vita di quella città, una diversità
che ogni giorno minava l'ordine, la precisione, l'omogeneità, il prodotto tipico
locale, la lingua ed il dialetto e tutti i sistemi precostituiti! La gente
continuava ad urlare: "Basta con la promiscuità rivogliamo la nostra originale
identità". Ed ancora: "Questa terra appartiene a noi, a noi che l'abitavamo
prima di voi". La protesta durò mille giorni senza alcun'interruzione, fino a
quando il sindaco di quella città, preso dalla disperazione, decise di sfoderare
il suo massimo potere e tutta la sua autorità. E così fece!
Sceso in
piazza, il sindaco convocò tutta la folla di dissenzienti in quel preciso punto
e, quando tutti, nessuno escluso, furono in quel punto cominciò a pronunciare il
suo discorso: "Carissimi concittadini, siamo qui riuniti per discutere di un
problema che affligge tanto voi quanto me. Sino ad oggi io ho sofferto con voi
dello stesso male, ma oggi la vostra insistenza mi spinge ad usare l'ultima arma
che è rimasta in mio possesso; la magia! Ebbene sì, io conservo da numerose
generazioni una lampada che i miei antenati conquistarono, dopo lunghe e
sanguinose battaglie, nel lontano oriente. Questa lampada d'oro ricoperta di
pietre preziose ha la capacità di esaudire un unico desiderio ed è proprio in
funzione di questa unicità che io l'ho riservata per un'occasione speciale.
Quale occasione migliore di questa? E sia così, da oggi in poi regni nella
nostra città l'ordine, la precisione, l'omogeneità, il prodotto tipico locale,
la lingua ed il dialetto locale e tutti i sistemi precostituiti. Ed, a scanso
d'equivoci, sia la vita stessa di questa città, l'espressione univoca di
un'unica ed inconfondibile realtà, senza sfumature né varianti alcune che ne
mettano in discussione la qualità".
Nell'istante in cui il sindaco
pronunciò la sua ultima parola, si udii l'enorme boato della folla soddisfatta e
consenziente che, in segno d'approvazione e ringraziamento, rimase in piazza ad
applaudire il sindaco per altri mille giorni al termine dei quali i cittadini di
quella città cominciarono a guardarsi attorno e quello che scoprirono li lascio
attoniti; tutto ciò che li circondava, loro stessi, i loro abiti, i loro
pensieri, le loro parole, i loro cartelli, le loro bandiere e tutte le bottiglie
di spumante che avevano acquistato (per festeggiare il lieto evento) avevano
assunto il medesimo colore…IL BIANCO. Allora d'un sol colpo la disperazione
raggiunse i massimi livelli; nessuno riusciva a scrivere una sola riga perché
non era più possibile mettere nero su bianco, ma solo e soltanto bianco su
bianco…nessuno era più in grado di fare ritorno a casa poiché era praticamente
impossibile distinguere, strade, case, macchine, autobus, persone, prati, mari,
montagne, semafori (per cui gli incidenti si susseguivano a catena), cibo ed
acqua (per cui nutrirsi era un'impresa impossibile).
A questo punto della
storia ognuno si ritrovò solo con se stesso e con un'unica possibilità di
sopravvivenza; spostarsi, con enorme fatica e sacrificio, verso le città ed i
luoghi limitrofi dov'era rimasto un po’ di colore. Non tutti ce la fecero ed i
pochi superstiti furono costretti a subire per lunghi anni la derisione altrui,
poiché ogni volta che uno di loro raggiungeva una delle città colorate era
subito individuato come L'UOMO BIANCO!
Negli anni a venire l'uomo bianco
seppe integrarsi nelle città colorate che, al di là dell'iniziale derisione, si
mostrarono calde ed accoglienti e pronte a scoprire la valenza del bianco che,
come tutti gli altri colori, rappresentava una ricchezza essenziale per la
ricostruzione del tesoro umano. Che io sappia, da quel giorno in poi nessun uomo
più osò protestare né si ribellò al naturale e prezioso valore della
diversità.
L'immagine è tratta da www.mripermedia.com/guerrazzi
Pagina Pubblicata il 01/05/01