Canzoni di rabbia - Anno 1975
(la rabbia solitaria)
Viaggio
E da un'uscita di galleria, col cuore in gola,
ti trovi in faccia il sole che ti fruga i pensieri: Ti legge dentro la
nostalgia, il buio fresco in cui fino a ieri gettavi via i tuoi giorni
d'eternità.
Ma la voglia di vivere, forse ti salverà, all'uscita di una
galleria.
Vivere perdersi e ritrovarsi, corrersi dietro per poi lasciarsi
andare, una volta di più. Vivere è una tela di cose, con cui riempire i lunghi
intervalli, tra un momento e l'altro di felicità.
E la voglia di vivere,
forse ti porterà, se il suo Sole corto basterà.
Ed in un viaggio può
capitare, di ritrovarsi a contare tutto, quel che è stato di te. Quello che hai
perso, quel che hai trovato, quel che hai goduto, quel che hai sprecato, quello
che hai chiuso e quello di te che hai aperto.
Ma la voglia di vivere, nel suo
tratto scoperto, in un viaggio ti capiterà.
Cose che passano, non ti voltare,
non riuscirai a trattenere un giorno, un silenzio di più. Cose che passano,
vestiti stretti, amori che hanno disfatto i letti, che hanno raccolto i semi e
la sterilità, di una voglia di vivere che è già nostalgia, si entra in un'altra
galleria.
Al milite ignoto
Io lo so chi ti spinse a partire e non fu
desiderio di gloria, io lo so non volevi morire, nè lasciare un ricordo alla
storia, io lo so chi ti venne a cercare, fin sui campi, fin dentro a un cortile,
io lo so non ci fu da parlare, con chi aveva in mano un fucile.
Io lo chi ti
guardò partire, sorseggiando un bicchiere di vino, fu lo stesso che poi venne a
dire, che eri felice come un bambino. Ma io lo so che non era affar tuo, che non
era la tua quella guerra e del resto cos'è che era tuo, certo neanche quel pezzo
di terra.
Hanno scelto la terra più triste, quella che era costata più cara,
quella in cui a migliaia cadeste, che vi accolse e vi fece da bara. Hanno scelto
la terra più rossa, quella che era costata più vite ed un corpo in cui solo le
ossa, circondassero ormai le ferite.
Lo hanno offerto a una patria impazzita,
che sfogasse così il suo dolore, han pagato i tuoi anni di vita con un grande
anonimo onore. Così oggi sei il milite ignoto, morto in guerra nessuno sa come,
dopo averci lasciato la pelle, c'hai rimesso per sempre anche il nome.
Ma non
sarai certo ignoto ai compagni, che con te avran lavorato, non sarai certo
ignoto alla donna, che ti avrà ogni notte aspettato. Non sarai certo ignoto agli
amici, che ti avran dedicato le sere, nel ricordo dei tempi felici in cui
potevano offrirti da bere.
Come sei invece ignoto a quelli, per cui tutto ciò
è stato un affare, che cantando siam tutti fratelli, ti ricordano intorno a
un'altare. Come sei certo ignoto alle mani, di quel vivo illustre da bene, che
verrà a sputare domani, altri fiori sulle tue catene.
Vent'anni
Vent'anni tra milioni di persone, che intorno a
te inventano l'inferno. Ti scopri a cantare una canzone, cercare nel tuo caos un
punto fermo.
Vent'anni nè poeta nè studente, povero di realtà ricco di sogni,
vent'anni e non sapere fare niente, nè per i tuoi nè per gli altrui bisogni,
vent'anni e credi d'essere impotente.
Vent'anni e solitudine sorella, ti
schiude nel suo chiostro silenzioso, il buio religioso di una cella, la malattia
senile del riposo.
Vent'anni e solitudine nemica, ti vive addosso con il tuo
maglione, ti schiaccia come un piede una formica, ti inghiotte come il cielo un
aquilone, vent'anni e uscirne fuori è fatica.
Vent'anni e stanza ormai piena
di fumo, di sonno di peccati e di virtù, lasciandoti alle spalle un altro uomo,
dovresti finalmente uscire tu.
Vent'anni e il vecchio mondo ti coinvolge, nel
suo infinito gioco di pazienza, se smusserai il tuo angolo che sporge, sarai
incastrato senza resistenza, vent'anni prima prova di esperienza.
Vent'anni e
ritagliare i confini, di un amore che rinnova l'esistenza, e ritrovarsi ai
margini del nuovo, scontento della tua stessa partenza.
Vent'anni e una
coscienza rattrappita, che vuole venir fuori e srotolarsi, come tendere un filo
tra due dita, vedere quanto è lungo e misurarsi, vent'anni fare i conti con la
vita.
Vent'anni e già vorresti averne trenta, esserti costruito già un
passato, vent'anni e l'avvenire ti spaventa, come un processo in cui sei
l'imputato
Vent'anni strano punto a mezza strada, il senso dei tuoi giorni si
nasconde, oltre quella collina mai scalata, di là dal mare e dietro le sue onde,
vent'anni rabbia sete e acqua salata.
Viaggio di ritorno
La tristezza incredibile di un viaggio di
ritorno, dalla vita alla morte in meno di un giorno.
La tristezza incredibile
di un treno che mi porta via, al mio fondo di mare, alla mia osteria, la mia
ancora al collo che comincia a pesare, mano mano che il giorno mi aiuta a
ritornare.
La tristezza incredibile di questa mattina, questa nebbia assurda,
morbida e feroce, questa nebbia e cretina che nasconde la tua voce, le canzoni
cantate, i gesti della tua mano, che nasconde la collina, che nasconde Torino, e
ogni cosa viva tranne quel lampione inumano.
Cosa c'è che può vincere, che
può ricacciare indietro, la tristezza incredibile di un viaggio di ritorno, non
certo la risata, la storia raccontata, per pietà o per noia, non certo la
saggezza, il pensare e ragionare che non si perde niente, che puoi ricominciare,
che niente va a morire.
E invece dopo ogni esperienza, ogni fuoco ogni
avventura, c'è la triste partenza, ritorno che fa paura. E invece dopo ogni
sogno, ogni dolce speranza, c'è un viaggio di ritorno, la porta di una stanza,
che apre cose già viste, cose morte di rabbia. Le passate conquiste, i buchi
nella sabbia, e le campagne che avevi all'andata guardato, come promesse sicure,
grano già seminato, si trasformano adesso in un paese selvaggio, dove dei lupi
felici sbranano il tuo coraggio, che rimane a brandelli, sulle cime smarrite,
gli alberi solitari come le nostre vite.
La tristezza incredibile di questa
nebbia cretina, che avvolge questa povera alba cittadina, di una voglia di
piangere forte come una fame, come foglia di un pane che non si è avuto mai, di
un lampione che resta in un occhio grigio, di una città che dorme mentre tu te
ne vai.
(La rabbia lucida)
Donna di fiume
Credo di avere provato l'amore, almeno una
volta, è stato un brivido di buio in una stanza d'affitto, è stato trovare il
fondo di una morte felice e la disperata allegria di non servire a niente, e
lacrime e risate e l'intenso di carezze più pure.
Credo di avere provato
l'amore, almeno una volta, con una donna travolta da correnti di fiume, bianca e
moribonda come una prima comunione, libera e buia come i miei occhi tra le dita,
feroce e dolorosa come la rabbia dell'inferno.
Credo per un'amore così non ci
sia che una volta, perchè è allora che il buio si scava la sua ultima tana e la
confessione dipana le paure di sempre, in un interminabile abbraccio di donna di
fiume, nella sua corrente di vita e di stanchezza.
Credo che un amore così
sia negato ai beati, perchè è la fiamma di un fuoco che tramanda la morte,
perchè i beati non sanno le stanze d'affitto, hanno paura del buio e delle
parole, perchè le donne di fiume non son mai beate.
Credo che un amore così
non si perda per strada, gli occhi degli altri per quanto ti frughino non sanno
capire, che la dolcezza preziosa che nascondi tra i denti è la ridicola e
meravigliosa discesa, di un uomo che impara a non morire da
solo.
Prima comunione
Mille bambini vestiti di bianco, uno di grigio
peccato però.
Cantano in coro seduti in un banco, uno è stonato e questo lo
so.
E quello grigio e stonato ero io, nel giorno triste in cui comincio, a
sanguinare il mio conto col dio, nel giorno triste che non scorderò.
Che
bella festa, che occasione, il giorno della prima comunione, quanti parenti sono
venuti, quanti gli amici e quanti i saluti. Ma c'è qualcosa che non funziona,
forse mia madre che è troppo buona o la camicia che è troppo dura, ma da dove
nascerà questa paura.
La sagrestia fa profumo d'incenso, ma è proprio vero o
son io che lo penso, la sagrestia fa profumo di morte, è proprio vero è persin
troppo forte.
Guarda che faccia accigliata ha il curato, mentre domanda a
tutti i bambini, se sono ancor puri o se han già peccato o se han mangiato dei
cioccolatini.
Che bella festa, che occasione, il giorno della prima
comunione, quanti regali mi hanno portato, che tenerezza mi han riservato. Ma
c'è qualcosa che non funziona, mia madre non è stata mai più buona e questa
camicia è davvero dura, perchè mi cresce così la paura.
E tra i parenti
davanti all'altare, il più tranquillo è senz'altro mio zio, che guarda le gambe
delle signore, mentre io guardo in faccia il ministro di dio.
Corpo di
Cristo, che strano sapore, pane di chiesa non lievitato. Attento ai denti che
può sanguinare, se per sacrilegio lo hai masticato.
Che bella festa, che
occasione, il giorno della prima comunione, quanti gli auguri ho ricambiati per
mandare via tutti gli invitati, ma c'è qualcosa che non funziona, non ho ancor
sonno è passata l'una, eppure ho tolto anche la camicia dura, non finirà mai
dunque questa paura.
E quanti anni ci sono voluti, perchè da solo imparassi
anch'io, a rider dei preti bigotti e fottuti ed a infischiarmene del loro dio.
Ma se qualcuno mi avesse avvertito il giorno della prima comunione, avrei
mangiato, avrei bevuto e forse avrei fatto persino il buffone. E avrei guardato
insieme a mio zio, le gambe di chi so soltanto io, e avrei sgravato la mia
avventura del peso enorme di quella paura.
Dalle Capre
Lo so, lo so che vieni dalle capre, fin qui a
fare questo bel mestiere.
Lo so che forse neanche a te poi piace, di vivere
facendo il carceriere.
Perchè si sa i coglioni che ti fanno, per darti un po'
di libera uscita.
Perchè si sa che razza è di vita, e vino e pane è quello
che ti danno.
E poi ... se a casa noi non ci torniamo più, dentro tutta la
vita ci sei anche tu, dentro tutta la vita ci sei anche tu.
Lo so, lo so ti
han dato la divisa, cioè un vestito buono e senza odori.
Lo so ti han detto
guarda di far bene, perchè portare questa è un onore.
Lo so, lo so ti han
dato per la testa, l'idea che c'è qualcosa da salvare.
E che chi sbaglia poi
deve pagare, evviva l'Italia e la giustizia è questa.
Però ... se a casa noi
non ci torniamo più, dentro tutta la vita ci sei anche tu, dentro tutta la vita
ci sei anche tu.
Lo vedo che la faccia ti diventa, giorno per giorno sempre
più carogna.
Man mano che la vita si consuma, tutto il tuo tempo dentro a
questa fogna.
Lo vedo che la faccia ti diventa, giorno per giorno sempre più
smarrita.
Man mano che ti accorgi che ti manca, proprio la chiave della tua
vita.
Perchè ... se a casa noi non ci torniamo più, dentro tutta la vita ci
sei anche tu, dentro tutta la vita ci sei anche tu.
Per quelli come te la
strada è una, puoi prenderla di giorno o di sera.
O ladro o carceriere che
finisci, comunque vai a finire in galera.
Finisci a far la guardia a un tuo
compare, per quattro soldi un po' di vino e pane.
Finisci che se prima eri
pastore, ti trovi dopo a fare solo il cane.
E poi ... se a casa noi non ci
torniamo più, dentro tutta la vita ci sei anche tu, dentro tutta la vita ci sei
anche tu.
Compagni a venire
Potrò mai perdonare
a te che giri in casa
con la vestaglia unta
di macchie di dolore
di avermi allattato
al
fiume del tuo male
stampandomi sul viso
l'angoscia e il suo
colore.
Potrò mai perdonare
a te che giri
casa
fiero nei tuoi ricordi
di libertà passata
di avere
contrastato
la mia spina dorsale
per paura che io
non ti venissi
uguale
Potrò mai perdonare
al vostro amore
stanco
il piacere segreto
di una notte lontana
che mi ha sbattuto
in
un mondo extravaginale
senza nemmeno chiedersi
se preferissi nascere
o
la morte gloriosa
di un aborto illegale.
Potrò mai perdonare
a te ragazzo
magro
tutti i pugni sul muso
che mi hai dato per noia
o per aiutarmi a
crescere
o per raddrizzarmi il naso
o per vedermi piangere
proprio nel
mio cortile.
Potrò mai perdonarti
amico per sei
anni
di avermi ascoltato
con un orecchio solo
il tuo tradimento
nero
fine del nostro mondo
con cui sei diventato
un bel fascista
biondo.
Potrò mai perdonarvi
amici tutti
quanti
l'amore e l'amicizia
che non mi avete dato
e questo mio sangue
fragile
il mio povero disastro
la colpa ed il dolore
di non esser mai
stato
per nessuno di voi
nemmeno un fratellastro.
Potrò mai perdonare
a te ragazza
piccola
il bacio che hai preferito
gettare dal balcone
quel bacio che
non mi hai
voluto regalare
nemmeno il giorno prima
della
rivoluzione.
Potrò mai perdonare
a te ragazza
grande
di avermi adoperato
per le tue gelosie
a te e alla tua
città
quel tramonto di vento
in cui sono partito
felice di
bugie.
Potrò mai perdonare
a voi mie poche
donne
di avermi sempre usato
solo per stare bene
come un unguento
dolce
che asciuga una ferita
aperta di paura
come un liquore
amaro
che è però digestivo
e digerisce la vita.
Potrò mai perdonare
al Dio che non
esiste
di avere rovinato
la mia adolescenza
Seduto su una
pila
immensa di riviste
di donne nude prova
della sua
inesistenza.
Potrò mai perdonare
alla gente per
bene
di avere amareggiato
le mie bandiere rosse
e di avere
deriso
sui muri della mia gioia
l'immagine di lenin
che parla alla sua
gente
Potrò mai perdonare
a me stesso la mia
rabbia
immensa e tempestosa
crudele come un mare
che travolga le
navi
e affoghi i pescatori
che trovino il coraggio
di volerlo
tentare
un mare che le loro donne
non sapran perdonare.
Potrò mai ringraziarti
compagno
sconosciuto
per il vino che hai offerto
senza chiedermi il nome
senza
informarti troppo
di dove ero venuto
di quanto sangue usciva
dalla mia
situazione.
Potrò mai ringraziare
a te compagno
negro
per il "who love you?"
che mi hai voluto regalare
come una
sicurezza
che la nostra differenza
era un motivo in più
per doverci
parlare.
Potrò mai ringraziarvi
compagni
sconosciuti
disponibili sempre
ad offrire amore e vino
sperduti in
questo mondo
non a grandezza d'uomo
e nemmeno di donna
e neanche di
bambino
provincia di una vita
che dovrà pur finire.
Potrò mai ringraziarvi
compagni a
venire.