Editoriale, Maggio 2000

CERCASI ANGELI DISPERATAMENTE

Quando penso ai ragazzi ed alle ragazze che un giorno entreranno nella professione vedo degli Angeli alle prese con questa metropolitana sanitaria ingiusta e complessa. Penso che questi Angeli sono sempre di meno, penso che è normale che sia così... io stesso, se dovessi oggi iscrivermi al DU per infermieri, avrei delle perplessità.... lavoro usurante e di responsabilità, percorso di studio iperselettivo, scarso riconoscimento sociale ed economico. Credo che si debba veramente pensare a promuovere questa professione da sempre in lotta per la rivendicazione del proprio ruolo, unico, insostituibile, penso che si debba con forza ed orgoglio urlare che questa è una delle professioni più belle ed appaganti in assoluto e, forse proprio per questo, così difficile ed ostacolata. Dovremmo uscire sempre di più dalle nostre nicchie ed aprirci al circostante. Noi di Infermieri Eretici lo facciamo già da tempo come singoli nella nostra vita e da un anno sul Web. Proprio questo mese Infermieri Eretici compie un anno, un anno di impensabili successi, un anno che ci ha dimostrato che veramente, come amiamo spesso dire, siamo dalla parte giusta delle barricate. Penso che per festeggiare il nostro primo compleanno non si possa non parlare degli studenti infermieri, coraggioso futuro della nostra professione. Siamo stati recentemente a Roma invitati dal collega Nicola Barbato, abbiamo visitato il centro di formazione per infermieri da lui diretto. Che meraviglia sentir dire parole come ricerca e formazione permanente, che bello sentire, durante un dibattito, rivendicare la centralità del ruolo infermieristico nell’organizzazione sanitaria, oppure parlare delle esperienze italiane dove gli infermieri gestiscono reparti senza medici, o ancora parlare della scuola per infermieri che hanno fondato in Albania. Abbiamo bisogno di linfa vitale, abbiamo bisogno di una formazione all’avanguardia, abbiamo bisogno di nuovi Angeli. E proprio a questi nuovi Angeli scrissi tempo fa una lettera pubblicata su “Infermieri a Pavia”, la rivista del Collegio IPASVI pavese e che ora voglio riproporre a tutti gli studenti infermieri italiani.

 

GUARDATI NEGLI OCCHI

 

Cari futuri colleghi,

non so perché vi sto scrivendo, o forse lo so ma non lo capisco fino in fondo. Credo che sia per quella voglia che ho sempre di comunicare, una voglia così naturale, così pulsante che sempre più spesso mi sembra di non ritrovare più. Forse sto scrivendo per raccontare proprio a voi che le cose vanno in un senso mentre io vado nel senso opposto, che non sono più disposto a dire che il mio lavoro è triste perché la sanità va male, così è semplice, è comodo. Cosa faccio io, cosa facciamo noi per farla andare meglio?

Sento la necessità di vivere esperienze nuove sia nella vita professionale che più complessivamente nella mia vita, sento la necessutà di correre lungo altre strade, più alte, più profonde. Non vorrei mai che il tempo fosse quella cosa che deve passare in fertta perché arrivi il 27 del mese, o le ferie, o la fine del turno o il diventare grandi. Sapete, il tempo passa davvero in fretta e magari diventi un infermiere importante, di quelli che ricoprono un ruolo, che sanno parlare, sanno mettere bene i cateteri vescicali ed hanno i soldi in tasca. Vivi la tua professione in “carriera” illudendoti che sia sempre splendente come le code delle comete. Ma poi ti rendi conto, alla fine di tutto, di esserti preso il lusso di sprecare il tempo a parlare, a mettere cateteri vescicali ed a riempirti le tasche di soldi e la mente di potere correndo il rischio di essere dimenticato e di dimenticarti di quello che sei, come persona e come infermiere. Succede proprio così quando guardi le comete: le vedi splendide e lucenti ma sono una illusione perché troppo spesso ci si dimentica che stanno andando a morire. Non ho niente contro gli infermieri in carriera, anzi, la libertà infondo è quella di pensarla diversamente, per cui rispetto le scelte di tutti e di ciascuno. Il problema non è saper mettere o non saper mettere i cateteri vescicali, avere o non avere il posto in un ospedale importante, fare o non fare carriera. Il problema è: “Cosa voglio?”

Ciò che non voglio è essere l’attore dell’ennesimo film troppo triste per essere visto e dal finale troppo scontato. Ciò che non voglio è passare tutta la vita credendo di essere libero mentre in realtà sbatto la testa contro i vetri come un moscone impazzito attratto dalla trasparenza del vetro oltre il quale sogna un volo libero ma del quale non ne capisce l’abisso della barriera.

C’è uno stato delle cose che tende a premiare la consuetudine di essere bravi e felici ma, scusatemi, io preferisco partecipare ad un’altra festa.

Sapete, fare delle cose per gli altri e per me è una sensazione stupenda perché fai delle scelte che ti arricchiscono, fai delle scelte professionali magari difficili, magari sono delle scommesse con il buon senso (o peggio, sono degli insulti urlati al buon senso) ma sono scelte senza prezzo, senza il pensiero fisso all’arrivismo. La sensazione che provi, alla fine, è molto bella, è come soffiarsi l’anima via dal cervello sudato. Perché le scelte giuste sono quelle che fanno star bene le persone. Non ideologie consolanti ma idealismi veri, vivi, pulsanti, caldi.

In mezzo a tutti questi pensieri di una cosa sono strasicuro: non passerò mai tutto il turno di notte (o tutta la vita) ad aspettare che finisca, non smetterò mai di parlare ai malati, non smetterò mai di sorridere agli occhi dolci degli anziani e dei bambini. Durante e oltre le convenzionali otto ore di lavoro sento la necessità di viaggiare lungo le vie infinite che questa vita, ed in essa, questa professione ci offrono e vi invito a vivere con me la realtà di questo sogno (perché, come sapete bene, chi sogna molto spesso dorme poco).

Spero un giorno di prendere forza e coraggio dalle persone e le persone da me. Ho l’impressione che andremo a vivere una fase professionale nella quale tutto sarà divisione ed individualismo ma ciò potrebbe non accadere se ci rendessimo conto che noi, prima di tutto, siamo donne e uomini.

Ora tocca a voi.

Luca Littarru

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