“I FATTORI STRESSOGENI IN AREA
CRITICA”
Una premessa
La comunicazione, tema principale
del Convegno Aisace Liguria
odierno, è una componente fondamentale e decisiva nella vita sociale,
quotidiana, di ogni essere vivente : questa ovvietà trova pero’ alcune
particolari eccezioni ambientali ed una di queste è tipicamente quella del mondo
ospedaliero.
Infatti
antichi retaggi e preconcetti, esistenti sia nel personale che opera nelle
strutture sanitarie, sia nei degenti spostano quello che sarebbe un normale
livello di comunicazione verso qualcosa di diverso e non abituale, non
usuale.
Rimanendo
ancora sul generico, in un campo che certamente è già stato trattato con
competenza da altri Relatori, possiamo affermare che la stessa presenza di
persone “in divisa”, intendendo con cio’ e le divise dei sanitari e quelle dei
degenti(il pigiama), sposta i normali rapporti e termini di confronto fra
persone, comprendendo in cio’ anche la
comunicazione.
Sono
frequenti i problemi legati alla incomunicabilità fra singoli ; ed uno dei
principali e piu’ frequenti motivi di lamentela in genere è quello della
“mancata informazione e/o comunicazione.”
L’Autore
di questa relazione è membro effettivo della Commissione Conciliativa della Asl
di appartenenza e, pur in assenza di una statistica completa, puo’ affermare che
oltre la metà dei casi di protesta segnalati agli uffici della Asl derivano da
questo aspetto talvolta non ben condotto : la
comunicazione.
Questa
premessa è importante alla luce di quanto emerge dalla presente relazione :
fra i fattori di stress piu’ elevati per i degenti delle aree critiche e dei
loro familiari c’è la mancata informazione o una
presunta mancanza di
informazioni.
A
completamento di quanto sopra, non si dimentichi poi l’assoluta condizione di
“bisogno” del degente, piu’elevata quanto piu’ elevata è la gravità del male o
la paura che ne deriva.
Naturalmente
gli operatori sanitari convivono con una realtà che li rende abituati a scene
per altri del tutto drammatiche e questo puo’ ingenerare ulteriori problemi di
relazione.
La
realtà dell’area critica
Ancora
una volta rivisitiamo l’ormai noto concetto dell’area critica, cioè di
quell’ambientazione ospedaliera (o delle strutture di cura) dove si prevede una
sorveglianza continua, cioè una condivisione dello stesso ambiente dei degenti e
del personale di assistenza
infermieristica.
Questa
condivisione è contemporaneamente indispensabile alla garanzia del buon nursing
di specialità-e all’immediata, soprattutto, salvaguardia delle condizioni vitali
dei ricoverati- e, appunto, allo stesso tempo stressante per tutti i
protagonisti.
Nel
corso del tempo, se vogliamo intanto affrontare l’argomento dal punto di vista
infermieristico, sono sempre piu’ emersi
i
rischi
elevatissimi di burn-out per chi
opera in queste strutture.
Tra il
personale si rilevano condizioni di stress elevato ; percentuali di
assenteismo elevate ; progressiva diminuzione degli stimoli positivi che
hanno condotto, inizialmente, ad una scelta specifica generalmente affrontata
con entusiasmo.
Nel
nostro servizio sanitario sono molto rare attività di supporto per il personale
infermieristico che opera in area critica, intendendo con cio’ un supporto di
tipo psicologico ; un affiancamento da parte di figure deputate alla
risoluzione di problemi gravi come quello del
burn-out.
Ora,
se è vero che le recenti normative hanno individuato tutta una serie di regole e
applicazioni per lavorare in sicurezza in tutti gli ambienti professionali, non
si puo’ escludere dal benessere del lavoratore anche la sua personale condizione
psicofisica.
Per
questo riteniamo che, insieme ai provvedimenti atti alla diminuzione del rischio
professionale specifico (contaminazione, imbrattamento, lesioni da oggetti
taglianti sempre possibili nella concitazione delle manovre dell’emergenza)
debba prima o poi -possibilmente
prima !- essere affrontato l’aspetto dell’equilibrio interiore di chi
presta servizio nell’emergenza.
Non è
un caso se in altri Paesi c’è una sorta di limite temporale (in alcuni casi 5
anni, in altri 10, essendo questi tempi legati alle Leggi e alle differenze tra
servizi) che un infermiere non puo’ superare in servizio
attivo.
Successivamente
la sua esperienza non viene perduta ma, su richiesta, viene trasferito a compiti
di affiancamento ed insegnamento che gli consentono di continuare, con minore
impatto, ad occuparsi di cio’ che sa fare e per il quale si è
impegnato.
Il
personale infermieristico del settore dell’emergenza che è stato sottoposto a
interviste sui disagi della propria realtà professionale ha spesso riportato le
stesse “lamentele” dei colleghi
dell’assistenza generale o di altre
specialità.
Ma non
sono mancate indicazioni specifiche quali la assoluta mancanza di una
programmazione del lavoro legata alle continue urgenze (è il caso di chi opera
in un Pronto Soccorso) ; la paura di violenze e atti di prepotenza (tipico
anche in questo caso dei Pronto Soccorso delle grandi aree metropolitane) ;
la sensazione, consapevole, di non saper piu’ offrire un apporto compiutamente
motivato.
Il
carico di lavoro è generalmente ritenuto eccessivo dalla totalità degli
interpellati.
Non
mancano poi richieste specifiche di supporti quali i colloqui con uno
psicologo ; la mancanza di riunioni di gruppo allo scopo di confrontare i
problemi ; l’assenza di un criterio per i periodi di riposo e
aggiornamento.
Su
questa strada si potrebbe proseguire per pagine
intere.
Ma
l’aspetto centrale della presente relazione è quello di sottolineare gli aspetti
che causano stress nei degenti raccontati dai degenti stessi.
E’
importantissimo che gli infermieri delle strutture di emergenza e soprattutto di
terapia intensiva conoscano quelle che sono state le paure, le ansie, le
ricorrenti angosce dei pazienti affidati alle loro
cure.
In
passato sono state effettuate interviste a malati successivamente dimessi dai
reparti del settore ; noi abbiamo voluto inserire in questi dati altri dati
ricavati da questionari simili, e sono emerse interessanti situazioni
stressogene per i pazienti spesso correggibili se affrontate per
tempo.
I principali fattori stressogeni per i
ricoverati della terapia intensiva
La
serie di dati che vengono ora presentati riguarda i pazienti usciti “bene” da
diverse rianimazioni polivalenti o di
specialità.
Questo
valore anche statistico è quello che ci pare piu’ probante, anche per le
indubbie caratteristiche di intensività e criticità che, piu’ che altrove, si
riscontrano in una degenza di rianimazione.
Sono
infatti comunque area critica ma con molte altre problematiche piu’ settoriali,
e dunque anche piu’ limitate, le varie unità coronariche, sale operatorie,
dialisi.
Intendiamo
con cio’ il fatto che, per esempio, il paziente che entra in una sala operatoria
ha la preoccupazione dell’intervento ma è quasi sempre cosciente e puo’ comunque
comunicare fino alla narcosi con il personale ; in una dialisi la
abitudinarieta’ alla situazione sposta le problematiche stressogene, che pure
esistono, su altri aspetti ; in una UTIC la componente predominante è la
paura della replica dell’insulto cardiaco e anche qua, normalmente, si tratta di
pazienti coscienti.
Nella
realtà delle terapie intensive di rianimazione abbiamo invece aspetti articolati e
complessi.
Il
fattore stressogeno piu’ ricorrente nelle interviste effettuate ai dimessi delle
rianimazioni è quello del provare dolore, aver paura del
dolore.
Non va
certo dimenticato come siano traumatiche le manovre di nursing per questo tipo
di malati, che vedono in alcune di esse (la broncoaspirazione, per esempio,
piuttosto che il posizionamento frequente in decubiti particolari) momenti di
vera sofferenza e paura.
La
tracheostomia, e la gestione della stessa, sono molto stressogene : causano
molta ansia, specialmente collegata al terrore che il “foro” rimanga per
sempre...
Le
frequenti interruzioni del sonno ed una conseguente, costante alterazione del
ritmo normale sonno/veglia rappresentano un altro ed ulteriore fattore di stress
pesantissimo.
A
questo aspetto vengono ad esser poi ricollegati altri indici di stress, quali i
continui suoni di telefoni e altro che andremo poi a
rivalutare.
Non
poter esser liberi di muoversi è, per
pazienti semicoscienti, o addirittura coscienti, ma vincolati a sistemi di
trazione ossea, agganciati ad un circuito respiratorio, vincolati ad un
drenaggio toracico, un ovvio e importantissimo fattore
stressogeno.
Questo
aspetto è poi ripetuto nella citazione della situazione definita come “aver
troppi tubi addosso...” che ritorna e riappare in un numero enorme di risposte,
percentualmente superiore al 75%.
Si
puo’ notare, con le prime risposte e anche con le prossime, come i fattori di
stress piu’ ricordati siano quelli piu’ pratici dell’aspetto della
degenza : seguono infatti in questa “speciale graduatoria” aspetti quali i
frequenti prelievi di sangue -immaginiamo venosi ma anche arteriosi-, aver vie di infusione continua, essere
sottoposto a ventilazione.
Ci
sono poi aspetti piu’ “nobili”, intendendo con questo termine aspetti che vanno
a esprimere un bisogno dei malati di livello superiore,piu’ psicologico e meno
corporeo.
E’
cioè palese che a nessuno fa piacere subire manovre quali la broncoaspirazione
ed i prelievi di sangue e per questo non c’era bisogno di una statistica e di
risposte.
Ma i
fattori stressogeni ricordati ora, quali la paura che deriva dal perdere
l’esatta nozione del tempo ; distacco dagli amici e dalla famiglia ;
sentir parlare DEL paziente e non
AL paziente costituiscono una vera e propria
“lezione” che puo’ spingere il personale che condivide 24 ore al giorno con i
degenti l’ambiente comune a riflettere su quello che puo’ essere fatto al
riguardo.
Tra
questi aspetti di particolare importanza ed impatto emotivo ( dunque altamente
stressogeni) ci sono anche la perdita della privacy, l’impossibilità di veder
fuori dall’ambiente, sentire lo staff parlare di altri pazienti, esser visitati
da troppi medici e infermieri.
Ritornano
poi fattori di stress che sono certamente modificabili solo in parte ma che
invitano ad una profonda riflessione ed in certi casi anche ad
autocritica : troppa luce, troppo rumore, fastidio nell’avvertire discorsi
completamente estranei alla situazione.
Con
quest’ultimo richiamo delle cause di stress si segnala il disagio, da parte
dell’”utenza”, di sentir parlare di questioni futili o comunque scollegate alle
necessità ed ai bisogni della degenza.
Tutti
quanti abbiamo naturalmente sempre mantenuto, nel corso dell’espletamento delle
nostre mansioni professionali, i nostri affetti e le nostre passioni cosi’ come
i nostri ragionamenti ; ma bene sarebbe che anche in presenza di pazienti
apparentemente in coma- o in condizioni critiche- di fronte a loro non
trasparissero questioni estranee alla
degenza.
Piu’
chiaramente : nulla ci vieta di staccare un attimo e di parlare del
prossimo impegno della nostra squadra del cuore, ma facciamolo a distanza dal
paziente per non dargli l’impressione di essere indifferenti al suo caso ed ai
suoi patemi certamente importanti e
indifferibili.
Questo
aspetto puo’ sembrare superfluo e logico ma un momento così speciale, nella vita di un uomo,
come il ricovero in una terapia intensiva diviene per forza di cose banalizzato
dalla routine quotidiana da parte del personale che in queste unità
opera.
E di
conseguenza capita spesso che la difficoltà a calarsi nella parte di chi ha
bisogno comporti magari un’attenta e valida assistenza tecnico-pratica ma un
minor livello di assistenza anche “spirituale”,intendendo col termine qualcosa
di comunque laico.
Alcuni
pazienti riferiscono della mancanza di un ministro del culto, anche se -per
esempio- nella rianimazione del nostro ospedale le visite dei sacerdoti
cattolici sono quotidiane.
(Recenti
norme di legge anche regionali invitano le Asl ad organizzarsi perché possano
essere sempre reperibili anche esponenti di altre
religioni.)
Tra le
più curiose lamentele espresse dai dimessi intervistati c’è l’ impossibilità a
fumare e a bere caffè (legata, strettamente, ai medici ed agli infermieri che
riferivano di apprestarsi a
farlo... !)
Curiosa
ma certamente vera e comprensibile la paura che i nuovi ricoverati
spostino
l’attenzione da se stessi : con
questa ultima ma non minor e importante preoccupazione chiudiamo la breve
rassegna delle piu’ frequenti, e certamente non sole, situazioni che generano
stress fra i pazienti delle rianimazioni secondo studi e ricerche di colleghi
europei, e personali dell’Autore.
Come è
auspicabile che avvenga sempre, in presenza di comunicazioni, relazioni,
racconti di esperienze l’invito è quello, informale ma sentito, dello spunto
alla riflessione, percorso di crescita.
Grazie
a tutti per la pazienza, e a Rosa per aver conservato, per tutti questi anni,
gli appunti della Scuola
Infermieri...
Francesco
Falli
ospedale Civile S.Andrea, La Spezia.
Sito Internet del Collegio IPASVI di La Spezia:
www.ipasvi.laspezia.net
rifer.
bibliografici :
-F.Falli,
appunti scuola per operatori sanitari non medici, La Spezia,
1992-94 ;
-Dr
G.Novelli,Appunti di Anestesiologia e Rianimazione,
Firenze.
Fonti
Internet :
e i
forum di discussione infermieristica + materiale diffuso in
rete.