Ho visto anche degli zingari felici - Anno 1976
Ho visto anche degli zingari felici
(introduzione)
E' vero che dalle finestre
non riusciamo a
vedere la luce
perché la notte vince sempre sul giorno
e la notte sangue
non ne produce,
è vero che la nostra aria
diventa sempre più
ragazzina
e si fa correre dietro
lungo le strade senza uscita,
è vero
che non riusciamo a parlare
e che parliamo sempre
troppo.
E' vero che sputiamo per terra
quando
vediamo passare un gobbo,
un tredici o un ubriaco
o quando non vogliamo
incrinare
il meraviglioso equilibrio
di un'obesità senza fine,
di una
felicità senza peso.
E' vero che non vogliamo pagare
la colpa di non avere
colpe
e che preferiamo morire
piuttosto che abbassare la faccia, è
vero
cerchiamo l'amore sempre
nelle braccia
sbagliate.
E' vero che non vogliamo cambiare
il nostro
inverno in estate,
è vero che i poeti ci fanno paura
perché i poeti
accarezzano troppo le gobbe,
amano l'odore delle armi
e odiano la fine
della giornata.
Perché i poeti aprono sempre la loro finestra
anche se noi
diciamo che è
una finestra sbagliata.
E' vero che non ci capiamo,
che non parliamo
mai
in due la stessa lingua,
e abbiamo paura del buio e anche della luce,
è vero
che abbiamo tanto da fare
e non facciamo mai niente.
E' vero che
spesso la strada ci sembra un inferno
e una voce in cui non riusciamo a stare
insieme,
dove non riconosciamo mai i nostri fratelli,
è vero che beviamo
il sangue dei nostri padri,
che odiamo tutte le nostre donne
e tutti i
nostri amici.
Ma ho visto anche degli zingari
felici
corrersi dietro, far l'amore
e rotolarsi per terra,
ho visto
anche degli zingari felici
in Piazza Maggiore
ubriacarsi di luna, di
vendetta e di guerra.
Ma ho visto anche degli zingari
felici
corrersi dietro, far l'amore
e rotolarsi per terra,
ho visto
anche degli zingari felici
in Piazza Maggiore
ubriacarsi di luna, di
vendetta e di guerra.
Agosto
Agosto, Improvviso si sente
un odore di
brace.
Qualcosa che brucia nel sangue
e non ti lascia in pace,
un pugno
di rabbia che ha il suono tremendo
di un vecchio boato:
qualcosa che
crolla, che esplode,
quancosa che urla.
Un treno è
saltato.
Agosto. Che caldo, che fumo,
che odore di
brace.
Non ci vuole molto a capire
che è stata una strage,
non ci vuole
molto a capire che niente,
niente è cambiato
da quel quarto piano in
questura,
da quella finestra.
Un treno è saltato.
Agosto. Si muore di caldo
e di sudore.
Si
muore ancora di guerra
non certo d'amore,
si muore di bombe, di muore di
stragi
più o meno di stato,
si muore, si crolla, si esplode,
si piange,
si urla.
Un treno è saltato.
Piazza, bella piazza
Piazza, bella piazza
ci passò una lepre
pazza,
uno lo cucinò, uno se lo mangiò,
uno lo divorò, uno lo
torturò,
uno lo scorticò, uno lo stritolò,
uno lo impiccò
e del
mignolino ch'era il più piccino
più niente restò.
Piazza, bella piazza, ci passò una lepre
pazza...
Ci passarono dieci morti
i tacchi, e i legni degli
ufficiali,
teste calve, politicanti
un metro e mezzo senza le ali,
ci
passai con la barba lunga
per coprire le mie vergogne,
ci passai con i
pugni in tasca
senza sassi per le carogne.
Piazza, bella piazza, ci passò una lepre
pazza...
Ci passò tutta una città
calda e tesa come un'anguilla,
si
sentiva battere il cuore,
ci mancò solo una scintilla;
capivamo di essere
tanti
capivamo di essere forti,
il problema era solamente
come farlo
capire ai morti.
Piazza, bella piazza, ci passò una lepre
pazza...
E fu il giorno dello stupore
e fu il giorno dell'impotenza,
si
sentiva battere il cuore,
di Leone avrei fatto senza,
si sentiva qualcuno
urlare
"solo fischi per quei maiali,
siamo stanchi di
ritrovarci
solamente a dei funerali".
Piazza, bella piazza, ci passò una lepre
pazza...
Ci passarono le bandiere
un torrente di confusioni
in cui
sentivo che rinasceva
l'energia dei miei giorni buoni,
ed eravamo davvero
tanti,
eravamo davvero forti,
una sola contraddizione:
quella fila,
quei dieci morti.
Primo maggio di festa
Primo maggio di festa oggi nel Viet-Nam
e
forse in tutto il mondo,
primo maggio di morte oggi a casa mia
ma forse mi
confondo.
E che titolo rosso oggi sul Viet-Nam
e che sangue negli occhi
della mia gente,
e che cosa da niente oggi essere lì
e morire senza il
sole del Viet-Nam.
Che sapore di morte oggi dal Viet-Nam
ma forse è mio
padre, mi confondo.
Che sapore di sole oggi dal Viet-Nam
ma
forse è proprio il sole, qui, mi confondo.
E confondo la testa col mondo e
col Viet-Nam
e confondo i miei occhi con i tuoi,
e che titolo rosso oggi
sul Viet-Nam
ma forse è il tuo sangue,
mi confondo.
La morte della mosca
Oggi è morta una mosca
dopo avere
volato
tanti anni da sola
bassa bassa su un prato.
Un prato non è mai
abbastanza grande
perché una mosca ci si perda,
ritrova sempre il suo
cespuglio,
il suo dolce odore di merda.
Le mosche procurano noia
se volano a schiera
unita;
da sole non danno fastidio:
si schiacciano dentro due
dita.
Oggi è morta una mosca
digrignando gli
ultimi denti,
subendosi l'ultima beffa,
la morte appartiene ai
potenti.
Oggi è morta una mosca
oh, mio dio che
sfacelo!
ronzare noiosamente
tanto lontano dal cielo.
Oggi è morta una
mosca,
crack! l'ultimo colpo di ali.
Fortuna che noi siamo
uomini,
fortuna che siamo immortali.
Oggi è morta una mosca,
muriamola nel suo
alveare
insieme a tutte le altre
onoriamola con un piccolo
altare...
Almeno però non si perda
il senso degli
ultimi stenti,
alle mosche rimane la merda,
il cielo appartiene ai
potenti.
Piazza, bella piazza, ci passò una lepre
pazza,
uno lo accarezzò, uno lo abbracciò,
uno se lo baciò, uno lo
consolò,
uno lo tranquillizzò, uno lo rallegrò,
uno molto lo amò,
col
mignolino ch'era il più piccino la notte passò.
Anna di Francia
Anna di Francia che arriva,
Anna che ride,
Anna che scherza,
Anna che ascolta, che parla
Anna che chiede, vuole
sapere
come andremo a finire la sera,
Anna la piazza ti ama, ti ama con
me.
Anna racconta: l'ultima Francia
com'era grigia, com'era
triste,
Anna racconta: il nuovo lavoro
sempre camicie, solo
camicie,
Anna ti sembra di essere pazza
Anna la piazza, la piazza ti ama
con me.
Anna che mi porta via
e vuole bere, vuole
parlare,
s'infila in un'osteria
forse stasera ha voglia di amore,
Anna
più bella, più bella che pazza
Anna la piazza, la piazza ti ama con
me.
Anna troviamo tanti amici,
uno comincia la discussione,
sono
momenti quasi felici,
Anna mi guarda faccio il buffone
"e dove sarà la
cultura operaia?"
Anna che scuote la testa e dice di
no.
Anna non vive, è da sola
si è già stancata
di prenderci in giro
"e Luigi Nono è un coglione,
l'alternativa nella
cultura
non è solo ideologia
l'alternativa è organizzazione"
Anna si
arrabbia, basta parlare,
Anna si alza, andiamo via
e mentre la strada mi
fa perdonare
c'è anna che brinda alla sua anarchia,
Anna imprendibile più
di un momento,
Anna dà un bacio alla piazza e poi se ne
va.
Non sarò per te un orologio,
il lampadario
che ti toglie il reggiseno,
quando è tardi, è notte e tu sei stanca
e la
tua voglia come il tempo manca.
Non sarò per te un esattore
di una lacrima
ventuno volte al mese,
non conterò i giorni alle tue lune
per far l'amore
senza rimborso spese.
Non sarò per te solo lo specchio
di una faccia che
non cambia mai vestito,
non sarò il tuo manico di scopa
travestito da
amante o da marito.
Non sarò quel cielo grigio quel mattino,
il
dentrificio che fa a pugni con il vino,
non sarò la tua consolazione,
e
neanche il padre del tuo prossimo bambino.
Per questa volta almeno sarò la
tua libertà,
per questa volta almeno solo la tua libertà,
per questa volta
almeno la nostra libertà
e la piazza calda e dolce di questa
città.
Albana per Togliatti
C'è un compagno, altra generazione,
che vuol
bene ai matti,
gira con un fazzoletto rosso
e una foto di Togliatti
che
alza sulla testa, che alza verso il cielo.
Poi sparisce e dopo un po'
ritorna
con un camioncino
sopra, un'apparizione strana,
c'è una
damigiana
piena del suo vino.
A quel vino ci mettiamo sotto
come a una
cascata
è così rosso, anche se è Albana
non si beveva dal
sessantotto...
Se ne va che è ormai quasi mattino
sicuro della
linea
"la sinistra vecchia e quella nuova,
Togliatti stai
tranquillo,
le uniamo con il vino".
Ho visto anche degli zingari felici
(conclusione)
Siamo noi a far ricca la terra
noi che
sopportiamo
la malattia del sonno e la malaria
noi mandiamo al raccolto
cotone, riso e grano,
noi piantiamo il mais
su tutto l'altopiano.
Noi
penetriamo foreste, coltiviamo savane,
le nostre braccia arrivano
ogni
giorno più lontane.
Da noi vengono i tesori alla terra carpiti,
con che
poi tutti gli altri
restano favoriti.
E siamo noi a far bella la luna
con la
nostra vita
coperta di stracci e di sassi di vetro.
Quella vita che gli
altri ci respingono indietro
come un insulto,
come un ragno nella
stanza.
Ma riprendiamola un mano, riprendiamola intera,
riprendiamoci la
vita,
la terra, la luna e l'abbondanza.
E' vero che non ci capiamo
che non parliamo
mai
in due la stessa lingua,
e abbiamo paura del buio e anche della luce,
è vero
che abbiamo tanto da fare
e che non facciamo mai niente.
E' vero
che spesso la strada ci sembra un inferno
o una voce in cui non riusciamo a
stare insieme,
dove non riconosciamo mai i nostri fratelli.
E' vero che
beviamo il sangue dei nostri padri,
che odiamo tutte le nostre donne
e
tutti i nostri amici.
Ma ho visto anche degli zingari
felici
corrersi dietro, far l'amore
e rotolarsi per terra.
Ho visto
anche degli zingari felici
in Piazza Maggiore
ubriacarsi di luna, di
vendetta e di guerra.
Ma ho visto anche degli zingari felici
corrersi
dietro, far l'amore
e rotolarsi per terra.
Ho visto anche degli zingari
felici
in Piazza Maggiore
ubriacarsi di luna, di vendetta e di
guerra.