Nove pezzi facili - Anno 1992

Nove Pezzi Facili



Tien an men

E queste rose volano,
non sanno nulla
della rivolta in cui si sono aperte,
del sangue invaso di bandiere
che oggi ancora si apriranno.

O per quale libertà?
o per quale libertà?
Non ci siamo scontrati ieri
senza cena giovani.

Se ogni potere è
se ogni potere è
delinquente
all'est e all'ovest impotente.

O in questa notte che è se stessa
già quel sole,
solo un milione amore
di teste e cuori,
in un mattino ancora oppressi
ancora e più liberi.

O per quale libertà?
o per quale libertà?

Vite Artificiali

Certe volte ho le vertigini
di notte o di mattina, ma
non c'è tempo di voltarsi.
Certe volte sento battere
il mio cuore troppo forte, ma
non c'è modo di ascoltarsi.

Certe volte le parole sono troppe
sono vite artificiali, ma
non ci son segni da farsi.
Fra i tuoi libri i tuoi squilibri
i tuoi equilibri, dio
che fatica organizzarsi.

Tra le vite artificiali
e le morti naturali, noi
non è facile salvarsi.
Ma lo senti questo flauto
che respira col tuo corpo, noi
è un modo di chiamarsi.

Certe volte faccio sogni tanto brutti
che non so se sono sveglio, ma
non c'è tempo di svegliarsi.
Certe volte piove veramente troppo
tutto il giorno, ma
non c'è modo di bagnarsi.

Certe volte mi ricordo
tutto quello che mi hai dato, ma
come fare a ricordarsi.
Certe volte mi addormento
anche da sveglio guardo, sento, ma
che fatica addormentarsi.

Tra le vite artificiali
e le morti naturali, noi
non è facile salvarsi.
Ma lo senti questo flauto
che respira nel tuo corpo, noi
è un modo di chiamarsi.

Tra le vite artificiali
e le morti naturali, noi
non è facile salvarsi.
Ma lo senti questo flauto
che respira nel tuo corpo, noi
è un modo di chiamarsi.

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi -
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.

Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.

Incubo numero zero

Il giorno di solito comincia sporco
come l'inchiostro del nostro giornale
scritto sui bianchi muri delle prigioni della repubblica
federale.
Che giorno per giorno avanzando tranquillo
son quasi davanti alla tua finestra
con un corteo di stesse e scintille e i tamburini la banda
l'orchestra.
Spegnete la luce pensava Ulriche
che la foresta più nera è vicina,
ma oggi la luna ha una faccia da strega
e il sole ha lasciato i suoi raggi in cantina.
Spegnete la luce pensava Ulriche
che la foresta più nera è vicina,
ma un jumbojet scrive "viva il lavoro"
col sangue, nel cielo di questa mattina.

Con un megafono su un autobus rosso
un Cristo uscito dal Circo Togni
comincia un comizio con queste parole
"disoccupate le strade, dai sogni,
disoccupate le strade dai sogni
sono ingombranti, inutili, vivi
e i topi e i rifiuti siano tratti in arresto
decentreremo il formaggio e gli archivi.
Disoccupate le strade dai sogni,
per contenerli in un modo migliore,
possiamo fornirvi fotocopie d'assegno,
un falso diploma, un portamonete, una ventiquattrore.
Disoccupate le strade dai sogni,
ed arruolatevi nella polizia,
ci sarà il bisogno di partecipare
ed è questo il modo
al nostro progetto di democrazia.
Disoccupate le strade dai sogni
e continuate a pagare l'affitto
ed ogni carogna che abbia altri bisogni
dalla mia immensa bontà sia trafitto.
Da oggi è vietata la masturbazione
lambro e lambrusco vestiti di nero
apriranno le liste di disoccupazione
incidendo poi quelle del cimitero,
e poi, e poi,
poi costruiremo dei grandi ospedali,
i carabinieri saranno più buoni,
l'assistenza forse sarà gratuita per tutta la vita
e un vitto migliore nelle nostre prigioni.
Disoccupate le strade dai sogni
e regalateci le vostre parole,
che non vi si scopra nascosti a fare l'amore
i criminali siano illuminati dal sole.
Disoccupate le strade dai sogni,
disoccupate, disoccupate.
Disoccupate le strade dai sogni,
disoccupate, disoccupate.
Disoccupate le strade dai sogni,
disoccupate, disoccupate.
Disoccupate le strade dai sogni,
disoccupate..."

A questo punto arriva un trombone
cammina col culo però sembra alto
e intona commosso una strana canzone
Cristo la canta e mi è addosso, in un salto.
"Disoccupate le strade dai sogni
non ci sarà posto per la fantasia
nel paradiso pulito operoso
della nostra nuova democrazia."

A questo punto mi butto dal cielo mi butto dal letto
e do un bacio in bocca a un orribile orco
e lecco l'inchiostro, lecco l'inchiostro,
lecco l'inchiostro del nostro giornale.

E' vero che il giorno sapeva di sporco
E' vero che il giorno sapeva di sporco
E' vero che il giorno sapeva di sporco
E' vero che il giorno sapeva di sporco

Io ti racconto

Io ti racconto lo squallore di una vita vissuta a ore, di gente che non sa più far l'amore.
Ti dico la malinconia di vivere in periferia, del tempo grigio che ci porta via.
Io ti racconto la mia vita il mio passato il mio presente, anche se a te, lo so, non importa niente.
Io ti racconto settimane, fatte di angosce più che umane, vita e tormenti di persone strane.
E di domeniche feroci passate ad ascoltar le voci, di amici reclutati in pizzeria.
Io ti racconto tanta gente che vive e non capisce niente alla ricerca di un po' d'allegria.

Io ti racconto il carnevale, la festa che finisce male, le falsità di una città industriale.
Io ti racconto il sogno strano di inseguire con la mano un orizzonte sempre più lontano.
Io ti racconto la nevrosi di vivere con gli occhi chiusi, alla ricerca di una compagnia.
Ti dico la disperazione di chi non trova l'occasione per consumarsi un giorno da leone.
Di chi trascina la sua vita, in una mediocrità infinita con quattro soldi stretti tra le dita.
Io ti racconto la pazzia che si compra in chiesa o in drogheria, un po' di vino un po' di religione.

Ma tu che ascolti una canzone, lo sai che cos'e' una prigione? Lo sai a che cosa serve una stazione?
Lo sai che cosa è una guerra? E quante ce ne sono in terra? E a cosa può servire una chitarra?
Lo sai che siamo tutti morti e non ce ne siamo neanche accorti, e continuiamo a dire e così sia.
Lo sai che siamo tutti morti e non ce ne siamo neanche accorti, e continuiamo a dire, a dire, a dire: così sia.

Da zero e dintorni

Ti viene mai compagna
la voglia di rinascere
su un camioncino diretto
treno espresso o accelerato.

Verso la sua punta
o verso le Eolie o Lipari
E con un sole scenograficamente corretto
e anche pulito.

Lasciandoti alle spalle
l'odore acido dei giorni
in cui devi filtrare
il tuo senso come il té
e il carico gravoso delle nuvole
in gobba a fardelli in cui nascondi
tuo padre e tuo figlio,
l'amore che non hai.

Ti viene mai, ti viene mai, ti viene mai...

Ti viene mai compagna
la voglia di rinascere
con una gamba sola
magari anche, anche senza sigarette,
ma anche senza la fretta assurda
della nuova metropolitana
e senza il bisogno di sentirti naufragare
in quell'isola lontana.

Tutte le volte che
ti guardi far l'amore
con in un occhio la voglia
e in quell'altro la rabbia ed il dolore,
con quel cane randagio
che ho bastonato stamattina sulla strada,
con quel cane randagio di tuo marito
che ti chiede come vai.

Ti viene mai, ti viene mai, ti viene mai...

Ti viene mai compagna
la voglia di tornare
su quella strada battuta
dai sassi, dai venti,
dagli sputi del potere.
Quella strada che in sogno avevi
creduto di vedere
o di avere almeno immaginato.

Quella volta che sei arrivata
fino davanti alla mia porta
con la tua sciarpa rossa in mano
e i cioccolatini tra i denti,
talmente sbriciolati da sembrare persino
trasmigratori contenti di ansie,
tu e le pozzanghere
su cui non riesci più mai a volare.

Ti viene mai la voglia di tornare.

Piazza, bella piazza

Piazza, bella piazza
ci passò una lepre pazza,
uno lo cucinò, uno se lo mangiò,
uno lo divorò, uno lo torturò,
uno lo scorticò, uno lo stritolò,
uno lo impiccò
e del mignolino ch'era il più piccino
più niente restò.

Piazza, bella piazza, ci passò una lepre pazza...

Ci passarono dieci morti
i tacchi, e i legni degli ufficiali,
teste calve, politicanti
un metro e mezzo senza le ali,
ci passai con la barba lunga
per coprire le mie vergogne,
ci passai con i pugni in tasca
senza sassi per le carogne.

Piazza, bella piazza, ci passò una lepre pazza...

Ci passò tutta una città
calda e tesa come un'anguilla,
si sentiva battere il cuore,
ci mancò solo una scintilla;
capivamo di essere tanti
capivamo di essere forti,
il problema era solamente
come farlo capire ai morti.

Piazza, bella piazza, ci passò una lepre pazza...
E fu il giorno dello stupore
e fu il giorno dell'impotenza,
si sentiva battere il cuore,
di Leone avrei fatto senza,
si sentiva qualcuno urlare
"solo fischi per quei maiali,
siamo stanchi di ritrovarci
solamente a dei funerali".

Piazza, bella piazza, ci passò una lepre pazza...

Ci passarono le bandiere
un torrente di confusioni
in cui sentivo che rinasceva
l'energia dei miei giorni buoni,
ed eravamo davvero tanti,
eravamo davvero forti,
una sola contraddizione:
quella fila, quei dieci morti.

Michel

Ti ricordi, Michel dei nostri pantaloni corti, delle tue gambe lunghe magre e forti e della rabbia che mi davano correndo tutti i giorni un po' più svelte delle mie.
Ti ricordi, Michel dei nostri soldatini morti, nella difesa eroica dei bastioni e seppelliti in una siepe con onori militari inventati lì per lì.
Ti ricordi, Michel del banco nero in terza fila, che ascoltò tutte le risate, di due bambini che vivevano in un sogno che non si ripeterà.
Ti ricordi, Michel. Ti ricordi, Michel. Ti ricordi, Michel. Ti ricordi, Michel.

Ti ricordi, Michel che a me piaceva Garibaldi, ma tu dicevi che era un buffone e che senz'altro non poteva sostenere il confronto con il tuo Napoleone.
Ti ricordi, Michel di come ti prendevo in giro, per l'erre moscia che ti era rimasta, solo ricordo della Francia e della tua prima casa, dei tuoi amici di lassù.
Ti ricordi, Michel di come era esclusiva la tenerezza che ci univa, e accompagno la nostra infanzia fino ai giorni della nuova realtà.
Ti ricordi, Michel. Ti ricordi, Michel. Ti ricordi, Michel. Ti ricordi, Michel.

Ti ricordi, Michel di come a me dispiaceva, quando parlavi sempre di ragazze e delle voglie che avevi con due occhi un po' sottili che non conoscevo più.
Ti ricordi, Michel di quando i mei capelli corti, ti davano fastidio e dicevi, che se non la piantavo di fare il bambino tu con me non ci saresti uscito più.
Ti ricordi, Michel quel giorno che facemmo a pugni tornando a casa dalla scuola, con la cartella appogiata a una colonna a due passi dal palto.
Ti ricordi, Michel. Ti ricordi, Michel. Ti ricordi, Michel. Ti ricordi, Michel.

Ti ricordi, Michel il giorno che morì tua madre, che tu piangevi tanto che anche il cane che ti voleva così bene non aveva il coraggio di avvicinarsi un po'.
Ti ricordi, Michel che tristi erano quei giorni, io non sapevo proprio cosa dirti e che confusione avevo in testa e che stupore sul tuo viso e che voglia di partir.
Ti ricordi, Michel quei due saluti alla stazione e i lacrimoni venir giù, quando la macchina comincia a far pressione tu dovesti salir su.
Ti ricordi, Michel che fretta che avevano tutti, far partire la vettura, mentre lento il tuo vagone se ne andava ritornava la paura.
Ti ricordi, Michel. Ti ricordi, Michel. Ti ricordi, Michel. Ti ricordi, Michel.

Ho visto anche degli zingari felici

E' vero che dalle finestre
non riusciamo a vedere la luce
perché la notte vince sempre sul giorno
e la notte sangue non ne produce,
è vero che la nostra aria
diventa sempre più ragazzina
e si fa correre dietro
lungo le strade senza uscita,
è vero che non riusciamo a parlare
e che parliamo sempre troppo.

E' vero che sputiamo per terra
quando vediamo passare un gobbo,
un tredici o un ubriaco
o quando non vogliamo incrinare
il meraviglioso equilibrio
di un'obesità senza fine,
di una felicità senza peso.

E' vero che non vogliamo pagare
la colpa di non avere colpe
e che preferiamo morire
piuttosto che abbassare la faccia, è vero
cerchiamo l'amore sempre
nelle braccia sbagliate.

E' vero che non vogliamo cambiare
il nostro inverno in estate,
è vero che i poeti ci fanno paura
perché i poeti accarezzano troppo le gobbe,
amano l'odore delle armi
e odiano la fine della giornata.

Perché i poeti aprono sempre la loro finestra
anche se noi diciamo che è
una finestra sbagliata.

E Siamo noi a far ricca la terra
noi che sopportiamo
la malattia del sonno e la malaria
noi mandiamo al raccolto cotone, riso e grano,
e noi piantiamo il mais
su tutto l'altopiano.

Noi penetriamo foreste, coltiviamo savane,
le nostre braccia arrivano
ogni giorno più lontane.
Da noi vengono i tesori alla terra carpiti,
con che poi tutti gli altri
restano favoriti.

E siamo noi a far bella la luna
con la nostra vita
coperta di stracci e di sassi di vetro.
Quella vita che gli altri ci respingono indietro
come un insulto,
come un ragno nella stanza.

Riprendiamola in mano, riprendiamola intera,
riprendiamoci la vita,
la terra, la luna e l'abbondanza.
E' vero che non ci capiamo
che non parliamo mai
in due la stessa lingua,
e abbiamo paura del buio e anche della luce, è vero
che abbiamo tanto da fare
e che non facciamo mai niente.

E' vero che spesso la strada sembra un inferno
o una voce in cui non riusciamo a stare insieme,
dove non riconosciamo mai i nostri fratelli.
E' vero che beviamo il sangue dei nostri padri,
che odiamo tutte le nostre donne
e tutti i nostri amici.

Ma ho visto anche degli zingari felici
corrersi dietro, far l'amore
e rotolarsi per terra.
Ho visto anche degli zingari felici
in Piazza Maggiore
ubriacarsi di luna, di vendetta e di guerra.
Ho visto anche degli zingari felici
corrersi dietro, far l'amore
e rotolarsi per terra.
Ho visto anche degli zingari felici
in Piazza Maggiore
ubriacarsi di luna, di vendetta e di guerra.

 

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