Il Placebo
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I Medici che hanno esercitato la professione prima del 1800
avevano ben pochi strumenti terapeutici se non l'effetto placebo, i farmaci di origine vegetale ed una chirurgia primordiale.
E particolarmente significativa a questo proposito la storia della terapia
dell'angina pectoris che
dal 1772, quando la sindrome fu descritta per la prima volta, è stata curata con
estratti di muscolo cardiaco, veleno di cobra, raggi X, con farmaci
vasodilatatori e con l'intervento chirurgico. Una delle descrizioni più
drammatiche riportate in letteratura sull'effetto placebo riguarda un paziente sofferente di cancro terminale: il
paziente soffriva di un linfosarcoma in fase avanzata. Era refrattario a tutte
le terapie ed aveva un'anemia di tale grado da
precludere ogni eventuale radioterapia o chemioterapia. Era considerato in fase
terminale dai suoi medici curanti, ma sempre fiducioso in
una improbabile guarigione, quando apparve sui giornali la notizia del Krebiozen come cura per il cancro. Il farmaco fu
somministrato il venerdì ed il lunedì successivo il Medico lo andò a visitare,
aspettandosi di trovare un moribondo o un morto. Invece il paziente era in buone
condizioni, le masse tumorali ridotte alla metà. Le
sue condizioni migliorarono sufficientemente da poterne permettere il ritorno a
casa; nel giro di due mesi i giornali iniziarono a descrivere i fallimenti del
Krebiozen ed il paziente iniziò a perdere fiducia nel trattamento. Dopo due mesi
di remissione, infatti, peggiorò nuovamente e fu ricoverato in ospedale in gravi
condizioni. A questo punto il medico deliberatamente mentì e disse al paziente
che il farmaco era efficace, ma che gli era stata
somministrata una partita avariata e quindi priva di effetto: da allora iniziò
la somministrazione del farmaco "fresco", cioè di
acqua distillata. Il miglioramento da questa seconda
crisi fu ancora più drammatico del precedente. Il paziente rimase in buone
condizioni per altri due mesi, fin che apparve la notizia finale dell'autorità medica
sulla totale inefficacia del krebiozen nel trattamento del cancro. Nell'arco di pochi giorni il paziente fu nuovamente
ricoverato in ospedale o morì. La specie umana si distingue dagli esseri
inferiori per il desiderio di assumere medicamenti.
La storia della medicina è caratterizzata dall'uso di ogni tipo di "cose", le
più strane, di origine animale e vegetale, che avrebbero dovuto possedere la
capacità di guarire. Placebo può essere definito ogni trattamento, o parte di
esso, che viene
deliberatamente impiegato per determinare un effetto favorevole sul paziente o su alcuni suoi sintomi, ma che è obiettivamente mente privo di un'attività specifica nei confronti della
malattia o sindrome che e presumibilmente in causa
(Shapiro, 1960).
L'etimo del termine [lat.: piacerò, compiacerò) esprime molto bene il ruolo storico di questa tecnica terapeutica
volta più a "far piacere" che a "far del bene" al paziente. L'effetto placebo è
l'effetto psicologico o fisiologico prodotto dal placebo.
Le sostanze placebo
si distinguono in: pure (sprovviste di qualsiasi
attività farmacologica) e impure (provviste di una azione specifica
farmacologicamente che però viene adoperata nella
cura di malattie per cui non è efficace).
Pierre
Schneider, psicologo e medico di Losanna, distingue i farmaci in tré classi, secondo la loro azione farmacologica:
1. Farmaci ad azione puramente farmacodinamica, che provocano nell'organismo effetti costanti e misurabili.
2. Farmaci che hanno un'azione farmacodinamica ed in cui si aggiunge un'influenza psicologica che può favorire o contrastare tale azione.
3. Sostanze che non hanno nessuna azione farmacodinamica e agiscono solo per effetto della suggestione.
L'interesse
specifico per il
placebo, i suoi effetti e il suo meccanismo d'azione, si è cominciato a
manifestare intorno agli anni '50 in concomitanza
con il suo impiego sempre più diffuso quale sostanza di riferimento per la valutazione dell'efficacia dei nuovi farmaci; tuttavia
ancora oggi non si è in grado di comprendere appieno effetti e meccanismi
d'azione.
Numerosi studi clinici hanno dimostrato
l'efficacia dei placebo in malattie e condizioni diverse: Ipertensione
arteriosa, Angina pectoris, Tosse, Raffreddore, Insonnia, Sindromi dolorose
muscolari, Artrite reumatoide e altri disturbi
reumatici, Ostetricia, Interventi chirurgici, Cancro e soprattutto nel dolore e
nelle malattie psichiatriche.
Numerose ricerche
hanno indagato i fattori che possono influire su di
esso. Sono state studiate in particolare variabili riferite al paziente , condizioni circostanziali-situazionali , variabili riferite al Medico-Infermiere
Professionale-Paziente. Non c'è una personalità che risponda al placebo in
maniera costante ( placebo reactor ); piuttosto
l'effetto placebo appare sempre più chiaramente come un fenomeno multideterminato ,
influenzato da diversi fattori e processi. Si è cercato di identificare un tipo
di personalità che potesse essere particolarmente adatta a rispondere al
placebo. Non si è però arrivati a conclusioni sicure , ne per quanto riguarda
l'età o il sesso , ne per quanto riguarda il livello
intellettuale o la presenza di tratti neurotici. Sembra però che la personalità degli operatori sanitari, medici ed infermieri professionali sia
importante quanto quella del paziente, il modello di interazione è così complesso che si sottrae a
qualsiasi classificazione e resta intuibile solo
nella situazione concreta del vissuto Infermiere Profes-sionaie-Medico-Paziente. I risultati degli studi
indicano che nei soggetti che rispondono ad esso vi è un'elevata percentuale di
vedovi, separati e divorziati; la presenza di ansia e di depressione favorisce
l'effetto placebo. L'influenza ambientale e delle circostanze in cui si trova
il paziente è testimonianza del fatto che in
strutture ospedaliere da risposte positive anche quando i pazienti sanno che si
tratta di un farmaco inattivo. È stato osservato che, almeno in alcuni casi,
l'effetto terapeutico del placebo è solo apparente.
Negli altri casi sembrano importanti la "cerimonia" della somministrazione del
farmaco e 1' aspettativa dell'effetto terapeutico.
In certi casi è addirittura più importante l'effetto suggestivo di quello
propriamente farmacologico, basti pensare alla grande ed in genere immotivata
fiducia verso i "ricostituenti" da parte di tante
persone. La pubblicità, la imitazione di altre persone , l'attesa spesso ancora un po' superstiziosa
dell'effetto di una medicina magari dal nome un po' strano fanno la loro parte.
È sicuramente una parte che non sempre merita di essere ridicolizzata o smentita
in certi soggetti con personalità più o meno chiaramente nevrosica . La risposta al
placebo è praticamente universale, anche se esistono
consistenti variazioni tra soggetto e soggetto (placebo responders e placebo non responders) e nello stesso individuo in circostanze
diverse, a causa di fattori non sempre chiaramente identifìcabili. L'effetto è minore in presenza di un
atteggiamento negativo da parte dello staff ed aumenta in presenza di un
atteggiamento positivo verso il paziente. Il placebo somministrato tramite
iniezione sembra più efficace rispetto a quello
somministrato per bocca. Di grande importanza sono le variabili relative al
rapporto interpersona-le: atteggiamento "caldo" ed interesse
favoriscono l'effetto.
Tre sono le componenti principali dell'effetto placebo:
1. il convincimento dell'efficacia
2. l'aspettativa di successo
3. il tipo di rapporto che si instaura tra Infermiere Professionale-Medico-Paziente. Secondo un'interpretazione psicoanalitica il placebo agirebbe dando simbolicamente all'adulto il nutrimento e la protezione che la madre da al bambino. Non si conoscono le modalità con le quali uno stato d'animo o una serie di circostanze esterne possano indurre mutamenti in parametri soggettivi o obiettivi, fisiologici o patologici.
Il placebo è in grado comunque di agire, non solo sui sintomi soggettivi, evocando cioè risposte di ordine psicologico (eccitazione, sedazione, ecc. ), ma anche su fenomeni oggettivi, modificando parametri fisiologici quantificabili, quali: frequenza cardiaca, pressione arteriosa, secrezione gastrica, sonno, ecc .
La comparsa dell'effetto placebo dipende da quattro gruppi di fattori:
1. il Paziente
2. la malattia
3. il farmaco
4. l'Infermiere Professionale e il Medico
II paziente:
1/3 dei pazienti dimostrano l'effetto placebo; bisogna comunque aggiungere che
non sono sempre gli stessi soggetti che reagiscono in quel determinato modo. Chi
reagisce una volta al placebo può non reagirvi più qualche settimana dopo.
La
malattia: sia le malattie croniche che la chirurgia non sfuggono all'effetto placebo. Gli effetti più evidenti riguardano il suo
potere analgesico. Esso è in grado di provocare una riduzione significativa del dolore clinico
nel 36% dei casi circa con un potere analgesico praticamente comparabile a
quello di molti analgesici chimici. L'effetto placebo si manifesta in modo
particolarmente evidente nei disturbi di interesse psichiatrico, in una percentuale di casi variabile dal 18 al 67 % soprattutto nei quadri caratterizzati da
ansia e depressione. Il farmaco: il prodotto più costoso ha un effetto migliore;
l'azione è più efficace se il farmaco viene somministrato per via endovenosa o
intramuscolare invece che per via orale; il sapore amaro è considerato più
efficace di quello dolce. Anche il colore (sia del
farmaco che del contenitore) ha un suo peso : una inchiesta condotta
recentemente ha dimostrato che il colore ritenuto tipico per un anti ansia o l'azzurro o il verde, per un
antidepressivo è il rosso o il giallo e per un sonnifero è il bianco.
L'Infermiere
Professionale e il Medico: più questi due operatori sanitari sono convinti della validità del prodotto,
migliori sono i risultati ottenibili.
Le numerose
teorie formulate per spiegare l'effetto placebo sono
essenzialmente di tipo psicologico tradizionale e non offrono la possibilità di una reale
comprensione del meccanismo d'azione.Oggi appaiono insoddisfacenti le classiche
spiegazioni basate su modelli interpretativi psicologici, da quelle più antiche basate sulla suggestione, a
quelle più recenti basate sul condizionamento classico, sulla mobilizzazione della speranza di guarigione, sul
condizionamento. Ricerche recenti forniscono sempre maggiori evidenze a supporto
di un modello interpretativo di tipo biologico. L'eticità di un impiego cosi
diffuso è però assai discutibile.
A favore di un loro impiego sta
l'affermazione che con essi viene comunque raggiunto un risultato terapeutico,
sia pure parziale e aspecifìco. La prescrizione
inconscia del placebo non è che uno dei mezzi con i quali il medico "tranquillizza" il paziente, cercando di alleviarne i
sintomi, senza però inquadrarli in un ragionamento diagnostico approfondito che
vada alla ricerca e identificazione delle cause
reali del malessere denunciato.
Una certa attenzione deve essere attribuita
al possibile effetto negativo all'uso del placebo sulla relazione Infermiere Professionale-Medico-Pazien-te: si deve cioè evitare
che la fiducia che sta alla base dell'atto medico
e/o infermieristico e che "mobilizza" i meccanismi
di difesa di ciascun individuo venga incrinato dalla
sensazione che il paziente può avere di essere ingannato, perché trattato con un
placebo. In alcuni casi questa prescrizione può
essere addirittura pericolosa per il paziente, ritardando la diagnosi o
venendosi a sostituire a interventi terapeutici assai più efficaci.
Non è
possibile dare delle indicazioni precise per Fuso
del placebo in terapia, anche se è necessario raccomandarne un uso attento, dopo
aver esaminato con cura le possibili conseguenze sullo stato psicofìsico del
paziente e quando altri trattamenti si siano dimostrati inutili o
dannosi.
Mai il placebo deve rappresentare una scusa per la quale il Medico
e/o l'Infermiere Professionale "abbandoni" il paziente senza farsi carico dei
reali problemi anche psicologici che lo affliggono. Questo è il modo per
distruggere il rapporto stesso.
Appare evidente come solo l'impiego cosciente
del placebo risulti eticamente e scientificamente
ammissibile in quanto, molte volte, l'origine dei sintomi risiede in cause che
non si risolvono con interventi farmacologici, o che detti sintomi sono transitori e non richiedono trattamento alcuno, o che
vanno indagati prima di intraprendere una terapia sintomatica.
Bibliografìa
1. M. Farne , A. Sebellico: Psicologia per l'operatore sanitario. Casa Editrice Ambrosiana Milano, 1987, 84-87.
2. A. Zangara: Medicina Pratica (manuale ad uso degli Infermieri e degli Allievi Infermieri). Piccin editore, 1984.
3. A. Agradi '.Farmacologia e Tossicologia. 4 edizione, Edizioni Sorbona Milano, 1989, 73.
4. O. Zanetto, M. Trabucchi: // Placebo. UTET -recentia in Medicina, 1995, 1077 - 1100.
5. AA.W.: Placebo. Enciclopedia Medica Italiana -voi. 11, USES, 1984, 2237-2242.
6. AA.W.: Effetto placebo. Medicina pratica, vol. 2, Farmacologia -Farmacoterapia, UTET, 1990, 40-42.
L'articolo è tratto da NEU 4/96