Il potere della Parola. Dal Dialogo alla
malafede.
di Alex Malega
C'e' bisogno
di dialogo,ma di dialogo vero. Perche' ci sia dialogo,bisogna che vengano
rispettate due condizioni: parita' e reciprocita'. In che consiste la
reciprocita' ?
Essa consiste nello scambio della
parola, del gesto, e si situa all'interno del campo simbolico condiviso dai due
dialoganti.
Ma c'e' un limite alla reciprocita', ed e'
l'insostituibilita'.
L'insostituibilita' e' il limite contro il quale va a
cozzare l'idea di aiuto e la capacita' "di mettersi al posto di". Non ci si
"mette al posto di". In ogni caso," mettersi al posto di" non significa occupare
il posto dell'altro.
Sarebbe come scacciarlo dal suo posto.Si puo'
raggiungere il posto dell'altro,ma senza sostiutirlo.
Ci sono due luoghi dove
la parita' e la reciprocita' non sono presenti,e sono:la psichiatria e la
giustizia.
Lo psichiatra e il giudice lasciano che l'altro parli,ma non
e' contemplata la recipricita'.
Il rapporto tra i due attori e'
asimetrica.Esso va da A a B,ma non viceversa.
L'asimmetria presuppone che uno
dei due abbia un potere sull'altro.
Chi interroga non si prende" cura" della
verita' soggettiva dell'interrogato,ne' della sua biografia.
Non e' ammesso
lo scambio, ne' la confidenza.
Chi interroga vede nell'altro lo strumento per
la ricerca di una verita' "Oggettiva".
Chi detta le regole e' l'interrogante.
All'interrogato spetta solamente il dovere di rispondere.
Non gli e' lasciata
liberta' di risposta perche' le domande sono poste in modo tale che
l'interrogato risponda con un si o con un no. Lo psichiatra e il giudice sono
dominati dal sospetto. Sospetto, che l'interrogato possa mentire,e se mente
rischia di essere punito. E facile capire quale sara' la punizione data dal
giudice,ma quale sara' la punizione erogata dallo psichiatra?
Nel
dialogo,oltre alla reciprocita' e al rapporto paritario,e' presente
il
disporsi dei dialoganti all'apertura. L'altro da' senso alle mie
parole,ascoltandomi.
Chi mi ascolta mi fa capire di fidarmi di lui.La fiducia
e' la terza condizione del dialogo.
Non c'e' reticenza nelle parole,
ne' nei gesti. L'altro non viene visto come avversario,ma come un
interlocutore al quale affidiamo noi stessi.Nel dialogo mi espongo,ma
nell'espormi non perdo nulla, perche' l'altro con la sua sollecitudine diventa
-- per usare una metafora - "il nido in cui posso far dormire il mio essere".
Nel dialogo sono importanti oltre che le parole,i gesti,lo sguardo e il non
detto.
Il non detto e' forse piu' essenziale di una parola detta
per caso.
Tra le pieghe del non detto si cela una parte del nostro
mondo.Stesso discorso vale per il corpo.
Il corpo parla..Come dice Nietzsche
in un suo aforisma:il corpo danza in sintonia con il mondo.
Prendiamo il caso
di due amici o di due persone che si amano.
Non c'e' bisogno di
possedere un grande intuito per capire che tra i due c'e' un
rapporto
affettivo molto intenso.E' singolare come i corpi in questo caso si
dispongano al dialogo..
Chi si fida dell'altro lo fa anche con il corpo.Non
c'e' bisogno di toccarsi,basta vedersi.
Si puo' essere distanti anche 5 metri
per capire che si sta dialogando e che tra i due
c'e' un rapporto emotivo
intenso.Chi dialoga lo fa spontaneamente.Non ha bisogno di essere " sollecitato"
o motivato. Se non lo fa,soffre.Il silenzio diventa una tortura.Si ha bisogno di
parlare con l'altro perche' dell'altro ci si fida. Perche' so che ci ascolta e
ci offre sostegno.
Ma quante volte il dialogo si trasforma in
interrogatorio?
E non succede solo con lo psichiatra e con il giudice,ma con
tutte quelle persone
che le percepiamo come nemiche.Possono essere i nostri
genitori,i nostri colleghi di lavoro,i nostri datori di lavoro,i nostro
professori..
Durante l'interrogatorio,l'altro viene messo " con le
spalle al muro".
Io so che se l'altro m'interroga vuole sapere da me la
verita', e pur di arrivare alla verita'
non si preoccupa di usare tutti i
metodi a sua disposizione.Non gli importa della mia persona.Io non esisto come
persona.Io esisto in funzione dell'interrogante. Della mia sofferenza gli
interessa poco.
Se serve ,anche l'umiliazione e' buona per raggiungere lo
scopo.La reticenza e la resistenza non sono ammesse.Il giudice vuole la
trasparenza;non ammette zone d'ombra.
Non accetta il silenzio.Il silenzio
viene interpretato come resistenza alla "collaborazione".
Vuole soprattutto "
chiarezza". Per lui A deve essere A.
Non accetta le sfumature,ne' puo'
concedersi di comprendere la tonalita' delle parole,dei gesti,
del non
detto.Chi interroga desidera fare scacco matto.E' la vittoria sull'altro che lo
eccita.
Fino a quando non conosce la " verita",le sue mosse vengono studiate
per mettere l'altro nell'impossiblita' di sfuggirgli.Il giudice desidera il
controllo della situazione.
Sa che se qualcosa gli sfugge,puo' perdere la
partita..In questi casi anche "la verita'" e' strumentale al potere.
Il
controllo deve essere assoluto.Le parole che escono dalla sua bocca sono come
delle frecce infisse nel corpo dell'interrogato.Chi assiste all'interrogatorio,
sa chi e' l'interrogante(colui che esercita il potere)e
l'interrogato(colui che lo subisce).La prossemica in questo caso ci viene in
aiuto.
Lo studio dei corpi nello spazio ci fa capire molte cose.
Prendete
due persone qualsiasi,che non conoscete:dai loro gesti,dalla disposizione dei
loro corpi,comprenderete chi ha un ruolo subalterno e chi ha funzioni
dirigenziali.
Molte sono le cose da notare,ma tre sicuramente sono
quelle che mi piace ricordare:
a) la rigidita' dei corpi. L'autorita'
non ammette altro scema corporeo che la rigidita'.
b) la distanza. I
capi non ammettono la vicinanza dei corpi...E quando lo permettono,lo concedono
con riluttanza.Guardate tutti i grandi leader,politici e religiosi.
Accarezzano,ma si sa che mentono. Ridono,ma il loro sorriso esprime la maschera
del potere.
c)lo sguardo. Chi detiene il potere guarda l'altro
per controllarlo.Non ammette che gli sfugga alcunche'.
Chi interroga assume
lo sguardo di chi vuole tutto controllare.Ogni gesto viene
ispezionato.
L'altro parla anche con il corpo e chi interroga sa che il corpo
puo' tradir(lo)..
L'interrogato cerca di sfuggire lo sguardo
dell'interrogante.
Due sono i motivi che lo inducono a non incrociare lo
sguardo del " giudice" :
a) la Paura.
b)la vergogna.
Queste
sono le armi del potere:mettere l'altro nelle condizione di provare paura e
vergogna.
Per " Il giudice" non esistono innocenti.
Fino a prova
contraria,per lui, tutti sono colpevoli.
Ricordiamoci che cio' che distingue
il dialogo dall'interrogatorio, e' il sospetto.
Chi interroga sospetta
che l'altro possa mentire.Vuole le prove.Se non ha prove,il sospetto
rimane.
Non importa come arrivi alle prove, purche' ci arrivi. L'altro,messo
con le spalle al muro,vorrebbe fuggire.
E spesso la menzogna e' l'unica arma
per non farsi distruggere da colui che si atteggia a giudice.
Siamo
sinceri:chi non ha mai mentito in vita sua?Tutti!Non c'e' nessuno che possa dire
:"io non ho mai mentito."Chi dice:"io non ho mai mentito,mente".Questa
frase Vi ricorda qualcosa?
Chi ha studiato filosofia,si ricordera' del
paradosso del filosofo Epimenide.
Tutti mentiamo.Mentono anche gli
animali.
Che cos'e' il mimetismo,se non un strategia intelligente per
sopravvivere in un mondo
in cui l'animale piu' debole rischia di
diventare preda del piu' forte?
Anche la simbiosi,in un certo senso e' una
forma di "menzogna" per sopravvivere.
Cosa fecero i nostri progenitori -
Adamo ed Eva - alla domanda postagli da Dio?
Mentirono.
E Ulisse?Che
strategia uso' per sopravvivere alla violenza Bruta di Polifemo,e
per non
farsi riconoscere dai Proci?
E che armi usarono i greci per entrare nella
citta' di Troia? L'inganno.
Pensiamo a Prometeo,che rubo' il fuoco agli dei
con l'inganno.
La storia dell'uomo e degli dei e' costellata dalla violenza
(hybris) e dalla menzogna.
Mente il bambino quando si sente
osservato e redarguito dai genitori e dai maestri.
Mente l'adulto quando non
riesce a sostenere una situazione insostenibile.
Mente l'uomo quando tradisce
la moglie con un'altra;e mente la moglie quando tradisce il suo compagno
con
un altro.
Si mente nel mondo del lavoro;si mente nei salotti,nelle feste,nel
rapporto col pubblico.
Mente il dipendente al suo datore di lavoro.
Che
cosa siamo, noi,nella societa'? Siamo delle maschere. Che cos'e' la
maschera?
La maschera e' la parte inautentica del nostro essere.
Se non ci
fosse la maschera,saremmo nudi,trasparenti al mondo,aggredibili dagli altri e
indifesi.
La maschera ci salva dall'invasione del mondo. Quand'e' che ci
togliamo la maschera?
In due occasioni:
a)nel sonno.
b)nella
morte.
In tutti e due i casi si e' esposti al mondo,senza
difese.
Un filosofo ha scritto che si vive in una
societa' in cui l'autenticita' e' assente..'.Ma,che cosa e'
l'autenticita'?
Vuol dire essere se stessi?E che cosa vuol dire essere
se stessi?
Sono autentico quando appaio ,o quando mi nascondo?
Ripeto la domanda:chi sono io?
Pirandello diceva che l'io e' gli
altri.Noi siamo gli altri.
Siamo convinti che la nostra personalita'
sia unica,dura e opaca come il marmo,mentre dobbiamo
imparare a
rappresentarcela come un diamante dalle infinite sfaccettature.
Ma vengo al
tema che mi preme maggiormente.
Se e' vero che mentiamo,lo facciamo per
non cadere preda dell'altro.
In un certo senso la menzogna, in certe
occasioni, e' l'unica arma di difesa a nostra disposizione.
Un " giudice"(in
senso lato) che c'interroga,desidera raggiungere il suo obiettivo,che e'
quello
di conoscere cio' che considera la verita'.Non c'e' scampo alle sue
domande.
Siamo nelle sue mani.Per lui sono un sospettato,anche se sono
innocente.
Devo dimostrare la mia innocenza.Ma come?
Dicendo la
verita'....dicono alcuni. Falso! la verita' la si dice quando non si ha nulla da
perdere e tutto da guadagnare. Questa e' la verita'.
Chi mente,cerca di
salvarsi da colui che momentaneamente sta esercitando il potere su di
noi.
Tra i due nasce una lotta:se vince lui,noi sono perso;se vinciamo
noi,c'e' la possibilita' di spuntarla.
Ad ogni domanda una risposta.La mia
strategia consiste nel far credere che la risposta contenga la
verita'.Piu' uno e' padrone di se stesso,piu' possibilita' ha di
scamparla.
E' come una partita a scacchi.Il giocatore deve anticipare
ed immaginare le mosse dell'avversario.
Ma in questo caso,la lotta e' impari,perche' le regole
del gioco sono dettate da colui che decide il gioco.
Non e' affatto vero che
chi mente ha le gambe corte. Anzi,e' il contrario:Chi mente ha molta
immaginazione.
In genere, le persone piu' sono stupide,piu' sono senza
immaginazione. E quindi incapaci di mentire.
La
letteratura,scriveva un grande studioso inglese, e' l'arte della
menzogna.
Chi dice che la letteratura rifletta la realta',mente.
Primo
perche' non si sa cosa sia la Realta';secondo perche' lo scrittore
"riscrive" e trafigura la realta'
attraverso il linguaggio che gli e'
proprio.
Attenzione: io non sto facendo l'apologia della
menzogna.
So che l'autenticita' esiste,e che esistono
l'empatia,la solidarieta',la lealta',
la reciprocita',l'amicizia e
l'amore.
Dico solamente che non bisogna atteggiarsi ad "anime
belle".
La menzogna viene considerata una strategia dal punto di
vista di colui che
rischia di cadere vittima del potere altrui;ma diventa
immorale quando
la menzogna serve a servirci
dell'altro.
E qui tocchiamo la
malafede.
Se la menzogna e' uno strumento di " difesa" contro chi
ci minaccia,che possiamo dire della
menzogna nella vita quotidiana,con
persone alla pari,con persone che ci vivono accanto?
Uomini e donne che non
hanno potere su di noi,ma che li trattiamo alla stessa stregua con cui
i
detentori del Potere noi.
Un autore che ha trattato il problema della
menzogna e del Malinteso,e' il filosofo Vladimir
Jankčlevitch.
Nel
suo libro " La menzogna e il malinteso" , ci mostra la pervasivita' della
menzogna e del malinteso
nei nostri rapporti con l'altro.
Sono pagine
dense ,che non si limitano alla descrizione del mascheramento nei rapporti
sociali.
Piuttosto ci indicano un altro genere di necessita',quella di
un gesto etico capace di svelare" l'intenzionalita'
ingannatrice della
menzogna o di far risplendere l'accordo tra i soggetti nel malinteso".
Dietro
alla funzioni convenzionali della socialita' si delinea allora la rivalita',la
difesa della propria identita'.
"La menzogna",scrive Jankelevitch, " E'
oberata dalla sua inerzia e dalla precarieta' ma anche dalla solitudine in cui
si confina da se'".
Mi piace trascrivere per intero il brano del
filosofo per non distruggere la bellezza e la forza con cui
espone il
suo pensiero.
Jankelevitch scrive:" La vera punizione dei ciarlatani e' la
perdita della loro ipseita':dal momento che non sono ne' cio' che sono e che
seppelliscono nel silenzio,ne' cio' che gli altri credono che essi siano e che
in realta' sono per truffa,bisogna concludere che essi non siano piu'
niente.Sono delle anime in pena,delle coscienze spettrali,e immagino che l'amore
e la stessa ammirazione che gli altri eventualmente provano nei loro riguardi e'
un amore che fa male,perche' si indirizza non alla loro ipseita',ma al ruolo che
assumono".
Il filosofo si chiede come si possa uscire dal circuito perverso
della menzogna.
In questo caso e' qui che l'altro assume un'importanza
fondamentale nello smascherare la menzogna.
L'altro,intervenendo nella nostra
vita,contesta la nostra falsa identita'.
Con il suo intervento rende
possibile "una conversione alla spontaneita' e alla verita'",che e' il fondo
della " serieta'dell'esistenza".
Jankelevitch ci tiene a precisare che non si
tratta di smascherare la menzogna dell'altro con un gioco raffinato,quanto di
mettere " fuori gioco" la doppiezza in cui l'altro si e' da se stesso lasciato
irretire.
" In questa sospensione dell'economia della menzogna si deve
appunto riconoscere il gesto etico per eccellenza, quello che Jankeletvich
chiama " amore".
Con la parola "amore "il filosofo ci rimanda a un'altra
esperienza che e' il malinteso.
Per Jankelevitich l'amore e' un " evento
fragile e finito" che rompe la separazione delle coscienze e la solitudine
dell'identita'.
Cio' che accade con l'entrata in rapporto con le coscienze e'
proprio una straordinaria simultaneita' che interrompe la scansione del tempo
ordinario:e' la comprensione,la sincerita',scrive il filosofo, che abita il
malinteso. Il malinteso si compie quando due " cronologie" che,seguendo ritmi
differenti,battono la stessa cadenza.
"le coscienze che si bazzicano devono prendere coscienza
l'una dell'altra in un solo presente e in un unico adesso".
"A ben pensarci"
continua il filosofo," questa simultaneita' non e' che l'altro nome per
mutualita' amorosa, (....)
se i due eventi hanno luogo in due momenti
successivi del divenire,l'amore non e' piu' allelon;gli manca quella
reciprocita' che lo apparenterebbe alle contraddizioni della coscienza riflessa
e che e' paradossale solo perche' i due interlecutori di questo colloquio -
ciascuno al contempo soggetto e oggetto,amante e amato - coesistono in uno
stesso oggi."
Ma Jankelevitch ci avverte che l'armonia viene perduta nel
momento in cui si crede di averla raggiunta,e che la si perda per mancanza
di "quell'esercizio etico" che consente di spezzare " il soliloquio dell'io
per ritrovare l'altro".
Il rapporto con l'altro e' un rapporto di
finitezza e di fragilita',ci avverte Jankelevitch.
L'esperienza con l'altro
e' contrassegnata dall'intreccio di possibilita' e impossiblita'.
Si
tratta di ritrovare l'altro nel pericolo costante e mai superato di una sua
perdita.
E' in questa "sospensione" che Jankelevitch ravvisa tutta la
portata di un gesto etico che mette in discussione
" le forme cristallizzate
con cui la nostra identita' si e' cristallizzata ".
Le immagini sono state tratte da questo sito Fotoritocco: Luca Littarru
Pagina pubblicata il 01/04/01