TERRE DI MEZZO DA CONQUISTARE

Vogliamo, io credo, costruire una eresia che continui, nel suo rinnovarsi, ad essere unica e all’avanguardia. Ma, nei suoi stessi presupposti, per definizione, questa impresa è legata al cambiamento di tutta la professione infermieristica. Costruire un’ eresia è parte di una concezione più generale e non si può separare da essa, altrimenti rischieremmo di creare un’ isola felice fine a se stessa e di nessuna utilità complessiva. Una cosa per noi insomma, non ampiamente condivisa, non per tutti.

La fine del millennio assume un significato di svolta straordinaria per la nostra professione: abrogazione della 225/74, stipulazione di un nuovo Codice Deontologico, istituzione del DU, lotta per una dirigenza laureata. Tutto ciò però non basta e rischia di rimanere uno spazio da riempire se non si parte da una concezione ampia del problema: le dinamiche professionali, motori del cambiamento, non servono a nulla se non sono ampiamente condivise e cioè messe in discussione, meditate ed assunte quotidianamente dalla maggioranza degli infermieri italiani. I risultati fin qui ottenuti rischiano di essere una strada illusoria e destinata a fallire. Ce lo insegnano tutti tentativi di cambiamento della storia e, per limitarci a questo secolo, ce lo insegnano determinati tentativi di cambiamento falliti esattamente perché a guidare tale cambiamento c’erano pochi illuminati con grandi idee che sono stati sconfitti da poteri più forti e conservatori esattamente perché pensavano che le cose si dovessero cambiare dall’alto, senza che la massa della popolazione ne fosse direttamente mezzo ma unicamente fine. Storie molto diverse ma che ci danno esattamente l’idea dei rischi che possiamo correre.

Iniziamo ad immaginare un futuro diverso e cominciamo a viverne le anticipazioni. Il compito di aprire la strada verso un nuovo modo di intendere la professione infermieristica comincia da chi ha già, grazie alle sue capacità ed alla sua storia, un alto livello di coscienza. Comincia da qui ma qui non può terminare ne può esaurirsi. Bisogna avere la capacità individuale di migliorarsi ed autosuperarsi su un piano, sull’altro bisogna mettere in comune tali conquiste con chi ancora a determinati livelli non ci è arrivato. E’ superficiale pensare che tutti i colleghi (ossia la stra grande maggioranza) che ancora non hanno un livello di coscienza elevato non l’avranno mai o mai lo vorranno avere. In questa grossa fetta della professione esistono livelli di coscienza diversi e diversi livelli di voglia di autosuperarsi. La grossa lotta sta nello stimolarli, nel farli emergere nel creare anche piccole ma importanti contraddizioni di pensiero, magari non visibili, a che ne emerga comunque la voglia di mettersi in discussione. Questa lotta è senz’altro meno visibile e meno gratificante di tante altre, i quali risultati si potranno forse apprezzare solo a medio e lungo termine, ma cerchiamo di essere materialisti in senso lato: è l’unica battaglia veramente indispensabile.

Pensare ad un metodo, a delle procedure di intervento per poter coinvolgere i colleghi a vivere la vita professionale eretica e quindi, in ultima istanza, a crescere come persone e come professionisti mi fa venire in mente che l’ingrediente insostituibile può essere solo il fattore umano. C’è una spiegazione sul perché alcune associazioni o alcuni Collegi difendono o vogliono mantenere in parte o del tutto lo status quo, giustificandosi con parole tipo “così vanno le cose, così devono andare”: a loro non importa nulla che le lotte vengano fatte per la professione infermieristica, a loro importa solo accrescere il loro potere politico e di contrattazione, a loro importa solo l’arrivismo. Il fattore umano? Ma chi se ne frega, gli infermieri sono ignoranti non possono capire la portata del nostro lavoro. Il fattore umano deve essere la nostra colla, il nostro terreno di coltura: solo così, al di là delle procedure e delle formulette, possiamo pensare di conquistare all’associazione anche coloro che della professione, apparentemente, se ne fregano. Certo, c’è anche chi della professione se ne frega veramente, chi fa questo lavoro solo per arrivare alle ferie, o al 27, o alla pensione. Sono coloro che sono stati presi e buttati nelle corsie, dopo uno o due o tre anni di studi, allettati dal lavoro sicuro e dal buono stipendio. Ma sono una minoranza, come una minoranza sono gli infermieri altamente coscienti. La maggioranza sta in un limbo, in una terra di mezzo. Una delle due minoranze a lungo andare conquisterà coi suoi metodi questa terra di mezzo: l’altra minoranza diventerà quindi materiale biodegradabile. E, attualmente, noi stiamo perdendo di brutto.

Luoghi comuni e realtà rovesciate. Questo è il panorama oggettivo. Se vogliamo conquistare colleghi all’ ”eresia” dobbiamo fare i conti con la realtà professionale che ci circonda con le sue brutture e con le sue potenzialità, senza sconti. Uno dei luoghi comuni, forse il più comune è “mi adatto perché tanto non cambia niente”. E’ una obiezione generica e diffusa, frutto dei condizionamenti sociali e oggettivi, non solo di perplessità individuali. Ma è la realtà e la storia che provano il contrario, quella realtà e quella storia che proprio i condizionamenti sociali vogliono ed hanno tutto l’interesse a nascondere. Vi è una obiezione immediatamente conseguente: quella che accusa i colleghi più intransigenti, coscienti e determinati di essere eccessivamente totalizzanti, di pretendere scelte di vita professionale. E’ strano come lo sforzo autentico di andare controcorrente nel marasma attuale della professione generi tanto risentimento. Rovesciamo la questione. Tendenzialmente totalitario è l’attuale modo di praticare la professione, fatto di compiacimento sub-alterno verso i medici, fatto di alienazione, fatto di scarsa gratificazione e scarsa considerazione sociale . Non si può evidentemente imporre una scelta di vita cosciente che è tale perché è libera per definizione. Ma si può - e si deve- iniziare a costruirla. Questo scopo può diventare ragione collettiva di impegno quale che sia il livello pratico che si è in grado di dare o di raggiungere. E’ sorprendente come i potenti della professione e gli arrivisti variamente annidati rivolgano l’accusa, a chi cerca di costruire una professione diversa, di essere utopisti e autoproclamatori. Sorprendente se non fosse sospetto. Un’ altro patetico rovesciamento della realtà.

Concludo riallacciandomi alle prime righe. L’arena della battaglia per una professione più cosciente e quindi, in ultima analisi, veramente migliore non può essere solo il Parlamento o una parte degli uomini e delle donne che compongono la professione. Deve essere tutta la professione complessivamente intesa e ancor di più deve esistere per quella terra di mezzo di uomini e donne, colleghe e colleghi che non sanno dove andare a parare. Da qui la necessità di essere eretici, controcorrente. Fin facile concludere con la frase di un maestro recentemente scomparso della musica italiana: “dai diamanti non nasce niente, dal “letame” nascono i fiori”