Un uomo in crisi - Anno
1973
(canzoni di morte,
canzoni di vita)
(canzoni di morte)
Io ti racconto
Io ti racconto lo squallore di una vita vissuta
a ore, di gente che non sa più far l'amore.
Ti dico la malinconia di vivere
in periferia, del tempo grigio che ci porta via.
Io ti racconto la mia vita
il mio passato il mio presente, anche se a te, lo so, non importa niente.
Io
ti racconto settimane, fatte di angosce sovrumane, vita e tormenti di persone
strane.
E di domeniche feroci passate ad ascoltar le voci, di amici reclutati
in pizzeria.
Io ti racconto tanta gente che vive e non capisce niente alla
ricerca di un po' d'allegria.
Io ti racconto il carnevale, la festa che
finisce male, le falsità di una città industriale.
Io ti racconto il sogno
strano di inseguire con la mano un orizzonte sempre più lontano.
Io ti
racconto la nevrosi di vivere con gli occhi chiusi, alla ricerca di una
compagnia.
Ti dico la disperazione di chi non trova l'occasione per consumare
un giorno da leone.
Di chi trascina la sua vita, in una mediocrità infinita
con quattro soldi stretti tra le dita.
Io ti racconto la pazzia che si compra
in chiesa o in drogheria, un po' di vino un po' di
religione.
Ma tu che ascolti una canzone, lo sai che
cos'e' una prigione? Lo sai a che cosa serve una stazione?
Lo sai che cosa è
una guerra? E quante ce ne sono in terra? A cosa può servire una chitarra?
Lo
sai che siamo tutti morti e non ce ne siamo neanche accorti, e continuiamo a
dire e così sia.
Lo sai che siamo tutti morti e non ce ne siamo accorti, e
continuiamo a dire così sia.
La guerra è finita
Si porta in tavola una torta di mele con su
piantate venti candele e lo spumante dell'anno scorso, tenuto in frigo, rimasto
lì.
Si porta in tavola la commozione tutti i ricordi di giovinezza, la ruota
gira, gira il timone fa capolino un po' di tristezza.
Fa capolino un poco di
rabbia, fa capolino una vita schifosa, fa capolino il giorno in cui mamma diede
il suo frutto di giovane sposa.
Eccolo lì il mio ragazzo, eccolo lì giovane e
forte, non avrà mai paura della morte non farà mai la mia sporca vita. E la
guerra non c'è più ormai, la guerra è finita.
Suona alla porta, un poco di
gioia, con i bambini di tua sorella, vengono a fare la festa più bella, perchè
oramai qualcuno si annoia. Qualche regalo tremila lire, per ringraziare non sai
cosa dire, tua madre vede per un momento, che non è vero che sei
contento.
Qualcuno dice "oggi tutto è diverso" e qualcun'altro gli rifà il
verso. Si prende in giro una testa ormai bianca per consolare una lacrima
stanca.
Eccolo lì il tuo ragazzo, eccolo lì giovane e forte. Non avrà mai
paura della morte, non farà mai la tua sporca vita. E la guerra non c'è più
ormai, la guerra è finita.
Passa la mezza così a chiacchierare, ormai
qualcuno se ne vuole andare, qualcuno dice che non importa anche se non si
mangia la torta. E li saluti lì sul portone e tutti che dicono tante
sciocchezze, che ti sei fatto un bel giovanottone, e datti da fare con le
ragazze. Tuo padre insiste, anche se ha sonno, perchè tu spenga le venti
candele, tagli una fetta di torta di mele, "perbacco", dice, "è il tuo
compleanno!".
Eccolo lì il nostro ragazzo, eccolo lì giovane e forte, non
avrà mai paura della morte non farà mai la nostra sporca vita. E la guerra non
c'è più ormai, la guerra è finita.
Un uomo in crisi
Hai notato come sono rari e fievoli i sorrisi,
sulla bocca stralunata di un uomo in crisi, come guarda sempre in basso, come
cerca protezione, come evita a ogni passo di attirare l'attenzione. Sui suoi
occhi stanchi e bui, senza più salde certezze, come cerca con le mani sempre
nuove sicurezze.
Hai notato com'è facile sentirselo un po'
amico, quando con l'aspetto gracile e con gesto antico, si avvicina alla tua
anima, cerca in te i suoi dubbi, poi con fare indifferente fugge avvinto
d'allorgoglio, fino a che non riconosce i suoi timidi sorrisi, sul tuo volto
stralunato in perenne crisi.
Un uomo nascosto
C'è un uomo nascosto in ogni vestito, in ogni
maschera in ogni sorriso, in ogni parola non detta, un gesto, in ogni
espressione del viso. C'è un uomo nascosto in ognuno di noi.
Alza, alza,
alza, di più le nostre bandiere, quell'uomo nascosto andiamo a
cercare.
C'è chi si nasconde in un'anima pura, e vive
evitando i peccati mortali. C'è chi si nasconde facendo regali e chi tutti i
giorni un'azione buona.
C'è chi si nasconde in una chitarra, e canta canzoni
a chi non conosce, c'è chi si nasconde in un paio di cosce e chi si fa solo i
fatti suoi. C'è un uomo nascosto in ognuno di noi.
Alza, alza, alza, di più
le nostre bandiere, quell'uomo nascosto andiamo a cercare.
C'è chi si nasconde dentro a un bicchiere, nel
vino che calma il dolore e la rabbia, c'è chi si nasconde in un grande amore,
chi affonda la testa giù, nella sabbia.
C'è chi si nasconde in un televisore,
e passa le sere a dimenticare, il tempo la vita che non gli dà niente, il tempo
la vita che tarda a finire. C'è un uomo nascosto in ogni morire.
Alza, alza,
alza, di più le nostre bandiere, quell'uomo nascosto andiamo a
cercare.
C'è un uomo nascosto dentro un lavoro, in
quella tuta sporca di grasso, c'è un uomo nascosto dietro ogni passo, stanco
ogni rabbia e ogni voglia di pianto.
C'è un uomo nascosto dietro la fame, in
quel bidone di spazzatura, cercando magari un vecchio cartone, cercando una vita
un po' meno dura. C'è un uomo nascosto in ogni paura.
Alza, alza, alza, di
più le nostre bandiere, quell'uomo nascosto andiamo a
cercare.
Quello lì (Compagno Gramsci)
Il giorno che arrivò in città fresco dalla
Sardegna, per fare l'università c'aveva già lui la faccia di chi c'insegna,
aveva già la sua strana testa grossa e l'aria di uno che ha freddo fin nelle
ossa.
Io lo sapevo quello lì, me lo sentivo quello lì, che non sarebbe andato
avanti molto.
Che tipo strano e riservato, che aria da
sbandato. E non sempre una gobba porta fortuna e oggi si vede che non mi ero
sbagliato. E poi di sardi qui ce n'è già abbastanza, dissi a quel pazzo che gli
affitto la stanza.
Io lo sapevo quello lì, me lo sentivo quello lì, che non
avrebbe fatto mai molta strada.
Era capace di star dei giorni chiuso nella sua
stanza, forse a studiare non so a che fare, io non gli ho dato mai troppa
importanza. Certo non era allegro come goliardo, ma non ci dimentichiamo che era
gobbo e sardo.
Io lo sapevo quello lì, me lo sentivo quello lì, che non
avrebbe fatto una bella fine.
Cosa facesse oltre a studiare, non l'ho saputo
mai. Ma avevo capito che fin d'allinizio che quello lì andava in cerca di guai,
avevo capito che era un socialista, quelli li riconosco a prima vista.
E
soprattutto quello lì, io lo sapevo quello lì, avrebbe avuto quello che
meritava.
Dopo un po' d'anni e chi ci pensava, ho appreso
con sgomento, che quello lì, quel sardo lì, era finito eletto in parlamento,
vabbene che il parlamento non conta niente, però non è proprio il posto per
certa gente.
E soprattutto quello lì, io lo sapevo quello lì, che avrebbe
cercato di farla franca.
Ma ieri ho saputo, che finalmente, si son
decisi a farlo, l'han messo dentro, avrà vent'anni, abbiam risparmiato il tempo
di ammazzarlo, perchè è malato ed è una cosa vera, che non uscirà vivo dalla
galera.
Io lo sapevo quello lì, me lo sentivo quello lì, non poteva finire
altro che così.
(canzoni di vita)
La giacca
Bisogna andare, fino in fondo, in fondo a tutto
in fondo a noi, in fondo agli argini del mondo, alla paura che mi fai. Fino in
fondo alle tue cosce, ai miei timori alle tue angosce. Fino in fondo alla
pianura, all'orizzonte della città. In fondo dove non troveremo nemmeno un'ombra
per riposarci, in fondo dove sarà fatica, sarà sudore l'esser sincero, in fondo
dove tutto è coperto sotto lo stesso mantello nero.
E se domani la mia giacca
sarà, la giacca di un disgraziato, non sarò mai così fregato come tuo
padre.
Bisogna andare sempre avanti, anche se noi non
siamo in tanti, anzi davvero siam solo in due, le mani mie, le mani tue, devono
stare sempre vicine, devono avere gli stessi guanti e non paura là sul confine
di fare l'ultimo passo in avanti.
Bisogna andare incontro a tutti quelli che
oggi come noi, voglion rischiare d'esser distrutti piuttosto di ritrovarsi poi,
in una famiglia senza persone, come tra i muri di una prigione.
E se domani
la mia giacca sarà, la giacca di un disgraziato, non sarò mai così fregato come
tuo padre.
Bisogna vincere la morte, quella che non si fa
vedere, che viene senza far rumore, che non si fa aprir le porte, che non fa mai
vestir di nero tutti i parenti all'ospedale, che non ha mai camere ardenti, nè
cerimonie, nè funerali. Quella nascosta nella tua noia, nella mia noia, nelle
parole che ci diciamo senza capire nemmeno quel che vogliamo dire, quella che
come un regista esperto ci mette in scena nel suo deserto.
E se domani la mia
giacca sarà, la giacca di un disgraziato, non sarò mai così fregato come tuo
padre.
Hai mai visto una città
Hai, mai visto una città, dove i sogni
rimbalzano sulle finestre ed i vetri riflettono vetri in estate e in inverno, e
spalancano gli occhi a cortili quadrati e deserti.
Hai, mai visto una città,
dove si nasce e si muore in un grande ospedale, grattacielo moderno struttura di
tipo aziendale, dove la morte è un fatto statistico del tutto normale.
Hai,
mai visto una città, che respinge i rifiuti della sua vita ricca, negli
squallidi prati ai margini dell'abitato, dove di notte l'amore però non sa di
peccato.
Hai, mai visto una città, con le tristi balere di periferia, dove
tra una retata e l'altra della polizia, ubriachi e puttane ricercano una
compagnia.
Se non conosci una città, puoi venire a casa mia, ti darò
l'indirizzo di una certa Maria.
E sotto i suoi vestiti troverai lo spiacevole
senso di assurdità, il freddo intenso la solitudine, di una
città.
Hai, mai visto una città, la dove passa veloce
la ferrovia, e i binari si intrecciano ad ogni cavalcavia, e trasportano treni
sempre più pieni di gente.
Hai, mai visto una città, la dove passa veloce la
tangenziale, e le luci arancioni danno al cielo un colore anormale, e le case
allibiscono ad ogni passare di camion.
Hai, mai visto una città, con il
freddo stampato in faccia alla gente, che cammina qua e là con le mani ficcate
in tasca, e negli occhi l'attesa di un sole che porti la festa.
Hai, mai
visto una città, dove tutte le strade vanno in collina, ma alla fine nessuna è
una strada felice e sicura ed ognuno rimane da solo con la sua paura.
Se non
conosci una città, puoi venire a casa mia, ti darò l'indirizzo di una certa
Maria.
E sotto i suoi vestiti troverai lo spiacevole senso di assurdità, il
freddo intenso la solitudine, di una città.
Morire di leva (a un amico
siciliano)
Questa è la storia, di un povero soldato, che
in una notte d'estate s'è ammazzato.
Stringersi al collo una cinghia di
cuoio, non si fa in tempo neanche a pensare muoio, non si fa in tempo neanche a
pensare muoio.
Solita storia, solita la canzone, solita vita, solita
situazione. Soliti accordi, soliti anche i versi, solo i tuoi occhi amico quelli
erano diversi, solo i tuoi occhi amico quelli erano diversi.
Porcaeva,
proprio a te è toccato morire di leva.
Diceva sempre, io sono sfortunato, sia
maledetto il giorno che sono nato.
Con la scalogna incredibile che ho, chissà
se a morire ci riuscirò, chissà se a morire ci riuscirò.
Diceva sempre io
starei bene solo, perso tra i ghiacci immensi dell'Alaska, di questa vita non me
ne importa niente, l'hanno trovato con le mani in tasca, l'hanno trovato con le
mani in tasca.
Porcaeva, proprio a te è toccato morire di
leva.
Diceva sempre, quando mi sento male, mi tira su
un giro in automobile.
Però lo sento, che il giorno si avvicina, che finirò
per sempre la mia benzina, che finirò per sempre la mia benzina.
Povero corpo
floscio e senza vita, l'hanno trovato due che erano ubriachi, uno a quell'altro
ha detto "non ci credi, quel lampadario mi sembrano due piedi", "quel lampadario
mi sembrano due piedi!".
Arriva il padre, arriva in un baleno, lui e la madre
han preso il primo treno, e lui che piange, la madre è una donna forte, scappare
da lei riuscì solo con la morte, scappare da lei riuscì solo con la
morte.
Viene trovata la lettera agli amici, son come chiodi le parole che
dici. Siam tutti in croce, sangue alle mani e ai piedi, certo peccato solo che
tu non ci vedi, certo peccato però che tu non ci vedi.
Porcaeva, proprio a te
è toccato morire di leva.
Il colonnello, col fumo nella testa, va fino in
fondo lui alla sua inchiesta.
Non ci fu colpa, nessuno ebbe colpa alcuna, il
suo cervello cercatelo sulla luna, il suo cervello cercatelo sulla
luna.
Perchè non può, altro che dirsi matto, colui che compie un così insano
atto. Il cappellano si associa al risultato, ricorda a tutti che uccidersi è un
peccato, ricorda a tutti che uccidersi è un peccato.
Porcaeva, proprio a te è
toccato morire di leva.
Ma io non credo, che tu sia morto matto, che tu
non abbia capito quello che hai fatto.
Rispetto sempre, chi un giorno ne ha
abbastanza, e si rifiuta di vivere di speranza.
Che dolce corsa, che dolce
corsa pazza, certo all'inferno ci sei arrivato in carrozza, sul carrettino della
tua gente antica, senza sudore stavolta senza fatica, senza sudore stavolta
senza fatica.
Un bel mattino
Un bel mattino ci sveglieremo e capiremo che
siamo morti. O che non siamo ancora nati e non nasceremo mai.
Stropicceremo
gli occhi assonnati e con sollievo, ci accorgeremo. Che le sofferenze, legate ai
giorni, legate alle ore, sono svanite.
Che le veglie paurose tra mostri
assillanti, le corse affannose su strade giganti, sono svanite e rideremo, ormai
tranquilli, prendendoci in giro per la paura che abbiamo avuto, il sogno di
vivere sarà finito.
Ma oggi amore dobbiamo andare, giù nella strada, dobbiamo
lottare, perchè il sogno che ancora vediamo, che annega i nostri visi in un
dolore ormai quotidiano, sia meno triste mentre aspettiamo, quel bel mattino in
cui il Sole gonfi le vele verso la morte, in cui ci guidi verso il nulla, verso
il nulla, verso il nulla.